Segnarsi questo nome in Libia, per gli incursori: Sabratha
Roma. “Contenimento” è la parola chiave. Ieri il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha confermato in un’intervista al Messaggero quanto scritto dal Foglio: il piano B dell’Italia in Libia è una campagna in stile “Pakistan”, vale a dire fatta di bombardamenti aerei e incursioni di forze speciali per colpire il terrorismo su un territorio che fa capo a un governo amico – governo che però non riesce a esercitare un controllo sufficiente. Pakistan, dunque, ma si poteva anche scrivere Yemen, o Somalia, o un altro dei paesi dove gli Stati Uniti intervengono regolarmente con missioni limitate – a metà tra l’operazione di polizia e la manovra militare. Il ministro italiano lo dice così: “Se c’è una base d’accordo almeno del sessanta per cento delle componenti libiche (Tobruk e Misurata, ndr) la comunità internazionale può investirci, altrimenti si limiterà a interventi di contenimento del terrorismo”.
Il contenimento in questo momento è soltanto un’opzione teorica, perché dovrebbe cominciare soltanto se le vie diplomatiche falliranno, e in questi giorni ci sono colloqui in corso tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk. Se però diventasse una scelta concreta del goveno italiano, allora c’è un nome da appuntarsi: Sabratha, che è una piccola città sulla costa della Tripolitania, quindi nell’ovest del paese, a metà strada circa tra la capitale Tripoli e il confine tunisino. Sabratha è dirimpetto alle piattaforme petrolifere dell’Eni e in quella zona parte il gasdotto Greenstream, che passa sul fondo del mare e riemerge a Gela, in Sicilia, trasportando il gas dalla Libia all’Italia.
Le forze speciali del Comando incursori e subacquei e gli uomini del Reggimento San Marco, a bordo della nave San Marco, sono arrivati al largo di Sabratha nel settembre 2011, quando la Libia ha riattivato i contratti con l’Eni dopo la rivoluzione contro Gheddafi (il colonnello in quel momento era ancora vivo, nascosto a Sirte). I cecchini degli incursori avevano coperto le squadre che a bordo di elicotteri erano salite sulle piattaforme Eni e le avevano dichiarate bonificate da mine e trappole esplosive. Difficile non pensare a quell’intervento adesso, dopo che a fine febbraio sono circolate indiscrezioni sulla partenza degli incursori dalla loro base del Varignano, a La Spezia, per una non meglio specificata attività al largo della Libia. Il governo non fornisce informazioni sulla missione, ma è probabile che una forza militare simile a quella impiegata nel settembre 2011 si tenga pronta al largo per evacuare personale tecnico e per proteggere i siti.
[**Video_box_2**]A differenza di quattro anni fa, Sabratha oggi sta diventando un’area dove c’è una presenza dello Stato islamico, la terza città dopo Derna e Sirte. Il punto è che Derna e Sirte sono centinaia di chilometri più a est, e invece Sabratha è in una posizione unica, a ovest di Tripoli. I contatti laggiù la descrivono come un punto d’accesso molto ambiguo tra Tunisia e Libia, porto franco per ogni genere di traffico. Si sospetta che i due tunisini che hanno fatto una strage di turisti a Tunisi tre giorni fa siano andati ad addestrarsi a settembre 2014 proprio in quella zona. Si sospetta anche – e sono informazioni che circolano tra le fonti libiche e tunisine e sono difficili da confermare – che proprio a Sabratha si sia nascosto anche Saifullah ben Hassine, nome di battaglia Abu Iyad al Tunisi, ricercato tunisino e capo del gruppo terrorista Ansar al Sharia, ora cooptato tra i leader dello Stato islamico. Una fonte sentita dal Foglio a Sabratha dice che la preoccupazione maggiore adesso sono gli scontri in avvicinamento tra Alba libica e l’esercito libico del generale Khalifa Haftar. Proprio mentre le milizie dell’Alba stavano scontrandosi con lo Stato islamico, il generale Haftar, presunto alleato dell’occidente a cui chiede armi, ha attaccato le milizie dell’Alba vicino Tripoli – e quindi ha oggettivamente aiutato lo Stato islamico. Durante i colloqui di pace.
L'editoriale dell'elefantino