Perché i jihadisti non tollerano la democrazia araba in Tunisia (e in Marocco)
Roma. Marocco e Tunisia sono gli unici due paesi arabi in cui la lotta, durissima, contro il terrorismo jihadista è condotta da governi e parlamenti democratici. Il governo marocchino si è consolidato in una democrazia nascente, ma robusta, mentre il governo tunisino fa i primi passi sulla strada della democrazia rappresentativa, dopo che la forte presenza di forze laiche ha neutralizzato la spinta eversiva islamista dei Fratelli musulmani di Ennahda. Come si sa, la Tunisia è l’unico paese in cui una primavera araba – che là è nata – non ha avuto sbocchi drammatici (Siria, Libia, Yemen) o autoritari (Egitto), ma si è incanalata in una dinamica democratica. Il Marocco, invece, e non a caso, è l’unico paese arabo immune alle “primavere”, un record assoluto, che ha una ragione interessante: la rappresentanza politica e sociale ha funzionato e ha incanalato le spinte ribelli e riformatrici nei canali di istituzioni operative.
Indagare oggi su questa positiva anomalia dei due paesi arabi è non solo utile, ma indispensabile. Innanzitutto per appoggiare i due unici sistemi-paese arabi in grado di contrastare il terrorismo jihadista con la determinazione e l’efficacia strategica che solo le democrazie garantiscono. Ma anche per uscire dalle sterili secche del dibattito su “islam e democrazia”, evitando la Scilla dei negazionisti alla Magdi Allam e l’ancor più pericolosa Cariddi del politically correct che ne attesta la compatibilità a prescindere, per volontarismo astratto.
Sul piano politico, i due paesi hanno oggi un assetto democratico perché dagli anni Cinquanta sono stati gli unici che – invisi alla sinistra comunista e terzomondista europea, che li considerava “lacchè dell’imperialismo” – hanno combattuto il contagio nasseriano e panarabista. Rifiuto militante, sì che Habib Bourguiba e il re del Marocco Muhammed V, d’intesa, tentarono in tutti i modi di contrastare l’ascesa sanguinaria del nasseriano Fnl algerino, favorendo l’opposizione anticoloniale moderata del Movimento nazionale algerino di Ahmed Messali e di Ferat Abbas, purtroppo eliminati manu militari dal Fnl con non meno di 12 mila morti. Il rifiuto del nasserismo era a tutto campo, a partire dallo strategico riconoscimento arabo dell’esistenza dello stato di Israele che con straordinario coraggio Bourguiba propose il 30 marzo 1965, confliggendo così con l’essenza del nasserismo: il jihad per l’eliminazione di Israele (il Marocco riconosce Israele dal 1994).
[**Video_box_2**]Ma sia Bourguiba sia i re (sultani) marocchini hanno consolidato le fondamenta della democrazia su un più profondo terreno: sono andati controcorrente rispetto alla riforma shariatica tradizionalista delle Costituzioni arabe iniziata negli anni 70 (con abbandono dei codici ereditati dai protettorati europei) e hanno riformato in senso paritario i Codici di Famiglia. Precursore fu Bourguiba che nel 1956 affidò al grande e popolare giureconsulto musulmano Tahir al Haddad l’incarico di riformare il diritto di famiglia, abolendo le prescrizioni shariatiche tradizionali, ma sempre nel rispetto, modernizzante, del Fiqh, il diritto islamico. Nel 2004 il re del Marocco compì la stessa riforma, interna al contesto islamico, imponendo – quale discendente diretto del Profeta – a un Parlamento riottoso, la Moudawana, il nuovo diritto di famiglia. Eliminato così dal nucleo famigliare (in principio, la prassi si consolida con lentezza) il criterio di sopraffazione violenta (jihadista) del maschio sulla donna, parificati i diritti di uomo e donna, abolita la poligamia e il ripudio, in Tunisia e Marocco si sono consolidate società plasmate sul loro nucleo basilare – la famiglia – in grado di costruire rapporti di democrazia sostanziale, che non si esaurisce nel principio del voto universale e del check and balance istituzionale. Sommate a una alfabetizzazione di massa (carente negli altri paesi arabi, Egitto in testa), quelle riforme hanno plasmato gli unici paesi arabi con dinamiche riformatrici. Questa è la base reale delle due sole democrazie arabe che combattono il terrorismo jihadista.
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