Le spie israeliane e i leak al Congresso: l'ultimo screzio fra Obama e Bibi
New York. Un’inchiesta del Wall Street Journal sostiene che l’intelligence israeliana ha spiato gli americani durante le trattative nucleari con l’Iran per carpire informazioni sui negoziati che Washington non condivideva con Gerusalemme. A detta delle fonti americane del Journal, la parte più grave della faccenda non era lo spionaggio in sé, attività diffusa anche fra alleati e regolata dalle consuetudini informali della diplomazia, quanto il fatto che gli israeliani passavano le informazioni ai membri del Congresso per fomentare un fronte d’opposizione al “grand bargain” con gli ayatollah: “Un conto è spiarsi a vicenda, un altro è che Israele rubi informazioni riservate agli Stati Uniti e le passi ai parlamentari americani per sabotare la diplomazia”, ha detto una fonte dell’Amministrazione. L’accusa è anche più grave di tutti gli attacchi volati in questi mesi fra l’Amministrazione Obama e il governo di Bibi Netanyahu, perché si tratterebbe di un’intrusione diretta nelle dinamiche di uno stato straniero, praticata usando informazioni riservate per influenzare le decisioni dei rappresentanti eletti dal popolo. Il Wall Street Journal spiega che, attraverso l’ambasciatore Ron Dermer, Netanyahu ha iniziato a fare attività di lobbying al Congresso a gennaio, dopo avere comunicato per l’ennesima (e ultima) volta alla Casa Bianca la sua opposizione a un accordo con l’Iran; poco dopo, diversi media israeliani hanno scritto che il sottosegretario del dipartimento di stato, Wendy Sherman, aveva bruscamente interrotto gli incontri informali nei quali aggiornava i funzionari israeliani sullo stato dei dialoghi di Ginevra. La notizia di Sherman è confermata dal Wall Street Journal, il quale sostiene che gli americani hanno smesso di parlare con Israele soltanto per “timore di leak”, non per reazione alle iniziative di “backchannel” degli israeliani al Congresso. Sta di fatto che a un certo punto Netanyahu si è sentito tagliato fuori dalle trattative sul destino nucleare della più grande minaccia esistenziale per Israele, e la cosa non gli è piaciuta affatto.
Negli incontri ginevrini di quel periodo, John Kerry ha insistito per continuare certe conversazioni con il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, a passeggio per la città, scelta complicata dal punto di vista della sicurezza e probabilmente non soltanto dettata dalla voglia di una boccata d’aria dopo tanto discutere a porte chiuse. Le immagini della diplomazia en plein air documentano in modo indiretto il rapporto di sfiducia fra Obama e Netanyahu. Secondo il Journal, l’invito rivolto dallo speaker della Camera, John Boehner, al primo ministro israeliano non è che il culmine dell’attività diplomatica parallela, fortemente contrastata da Obama con pressioni analoghe per favorire il “regime change” a Gerusalemme. Invece Netanyahu ha vinto un’altra volta le elezioni, circostanza che ha scatenato una massiccia campagna sotterranea a colpi di leak per screditare l’alleato riottoso. I protagonisti dell’inchiesta giornalistica negano. Boehner ha detto ieri che “nessun tipo di informazione è stata mai rivelata”, mentre il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha negato qualunque attività di spionaggio nei confronti dell’alleato.
La sostanza dell’articolo del Wall Street Journal proviene da anonimi funzionari dell’Amministrazione che all’unisono veicolano le stesse accuse nei confronti d’Israele, lasciando intravvedere in filigrana una certa coesione strategica in quello che è soltanto il capitolo più recente di una guerra in cui è difficile distinguere lo spin dallo scoop. Rimane però una domanda: se gli israeliani spiavano i negoziati per passare informazioni ai congressmen, significa che questi ultimi erano all’oscuro di quanto succedeva. Fossero stati aggiornati dalla Casa Bianca, come vuole la prassi costituzionale, le notizie origliate dalle spie israeliane avrebbero perso immediatamente il loro valore, rendendo inutili i leak sui quali è costruita l’ennesima accusa.
Mattia Ferraresi