Negoziati last minute
Con l'Iran si lavora alla “nuova fase”, Riad ha già pronta la sua offensiva
Milano. L’accordo sul nucleare che tutti vogliono richiede tempo, ancora un pochino, con la Repubblica islamica d’Iran è già andata così altre volte, mani tese di qui pugni chiusi di là, e anche se ora “le stelle sono allineate”, come dicono a Teheran, bisogna impegnarsi per tracciare il segmento che le colleghi tutte. Il clima è positivo, Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo e star della trattativa di Losanna, ripete che le chance di un accordo preliminare sono “parecchio buone”, ci sono alcune questioni in sospeso, questioni dirimenti, ma si procede, questa mattina con un primo passo e alla fine di giugno tutto il resto, e se non fosse che le aspettative erano alte perché i protagonisti le hanno alzate, oggi ci si potrebbe persino accontentare di questa “nuova fase”. E’ quel che faranno i più, in assenza di alternative, con la speranza che a furia di insistere, a furia di infiocchettare un deal che ai falchi, dell’occidente e dell’Iran, non piace, si possa infine celebrare l’apertura all’Iran.
Se tutti si accontentano (o accontenteranno), l’Arabia Saudita tira un sospiro di sollievo. Temporaneo, certo, ma il tempo è decisivo anche per Riad. Non è un mistero che lo slancio dell’occidente verso Teheran abbia deturpato le relazioni con l’Arabia Saudita, che già non erano eclatanti, se si pensa che da quando l’Amministrazione Obama ha annunciato e poi evitato il blitz contro il regime siriano, nell’agosto del 2013, dagli ambienti sauditi si sono alzati commenti disgustati talmente forti da superare anche l’ovatta diplomatica che da sempre avvolge il rapporto tra Riad e Washington. Ma l’Arabia Saudita, che in questa partita si trova dalla parte di Israele (tante “strane coppie” come in questi anni di realismo americano non s’erano mai viste), si sta preparando, dice che è necessario un coinvolgimento arabo nella trattativa, non si farà trovare impreparata se l’accordo-che-tutti-vogliono sarà siglato. Il New York Times e la Bbc ieri hanno spiegato le mosse del re Salman, che vanno dalle operazioni in Yemen, durissime, al rafforzamento del fronte islamista che combatte contro lo Stato islamico in Siria – cioè al Nusra, filiale siriana di al Qaida, che ha conquistato la città di Idlib strappandola al governo di Damasco. Washington, come dice al Nyt Jamal Khashoggi, storico giornalista saudita ed ex consigliere della Casa reale, è “nonchalante” sullo scontro tra sauditi e iraniani, “è come se dicesse: ‘Il problema settario è vostro, voi lo dovete affrontare’” – ma non è soltanto una faccenda tra cattivi e più cattivi mediorientali. Come ha scritto Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, le infrastrutture petrolifere saudite sono a rischio, ora che è guerra dappertutto, e questo potrebbe portare a un’altalena del prezzo del petrolio, in realtà già iniziata: la sospensione della bonanza petrolifera è un problema anche (forse soprattutto) per i cantori dello status quo.
I conservatori inglesi