Tim Cook (foto LaPresse)

Tim Cook vede discriminazione lgbt anche dove non c'è. Ennesimo colpo alla libertà religiosa

Il ceo di Apple Tim Cook sta vivendo una fase acuta di attivismo politico, e l’ultimo oggetto polemico della sua rinfocolata passione civile sono i disegni di legge per la difesa della libertà religiosa.

New York. Il ceo di Apple Tim Cook sta vivendo una fase acuta di attivismo politico, e l’ultimo oggetto polemico della sua rinfocolata passione civile sono i disegni di legge per la difesa della libertà religiosa. Cook ha scritto ieri sul Washington Post che “si oppone a questa ondata di leggi” che “razionalizza l’ingiustizia con il pretesto di difendere una cosa che noi tutti abbiamo a cuore”. Addirittura sostiene che le leggi sulla libertà religiosa – l’ultimo caso è quello dell’Indiana, ma ci sono un centinaio di provvedimenti del genere in cantiere in giro per l’America – vanno “contro i princìpi stessi su cui la nostra nazione è stata fondata”. Qual è il nocciolo dello scandalo? La discriminazione di certe categorie, soprattutto lgbt, come effetto collaterale della libertà religiosa negli esercizi commerciali. L’esempio classico è il pasticciere che si rifiuta di fare una torta per un matrimonio fra persone dello stesso sesso perché la pratica viola il suo credo: quello che il pasticciere vede come un rifiuto legittimo, questione di libertà, per Cook è un’inaccettabile discriminazione, da combattere con foga da guerriero delle “culture wars”. Non è chiaro se Cook in futuro si batterà anche a favore della categoria dei mangiatori di carne di maiale discriminati dai ristoranti kosher, ma intanto si batte sostanzialmente contro i titolari cristiani di esercizi commerciali secolarizzati che difendono il diritto a non violare la propria religione mentre fanno business. A lui, cresciuto battista nel profondo sud degli Stati Uniti, “non è mai stato insegnato che la religione deve essere usata per discriminare”, dunque le leggi in materia devono essere combattute e respinte.

 

Detta in modo spiccio, Cook sta ciurlando nel manico. Le leggi sulla libertà religiosa (Rfra) che sono presenti in 31 stati, modellate su una legge federale firmata da Clinton e poi svuotata di significato da una serie di sentenze, proteggono la libertà di culto, non danno licenza di discriminare. Se anche questo potere in alcuni stati è teoricamente concesso, non ci sono casi giudiziari che lo provano: le poche denunce per discriminazione si sono concluse con vittorie dei soggetti discriminati, non dei fanatici religiosi che si rifiutano di fare il bouquet alla coppia gay che Cook attacca. Douglas Laycock, docente di Legge alla University of Virginia e sostenitore dei matrimoni gay, sostiene “entrambe le parti in causa in questo dibattito stanno mentendo”: i conservatori mentono quando presentano le Rfra come un argine alle leggi pro gay, e “la parte a favore dei diritti dei gay ne ha approfittato per fomentare l’accusa che queste leggi sono il lasciapassare per la discriminazione”. In mancanza di arrosto, Cook contribuisce ad alimentare il fumo della discriminazione, quando semmai negli ultimi venticinque anni è stata la libertà religiosa – garantita dal Primo emendamento – in America a essersi rattrappita. Prima di una sentenza della Corte suprema del 1990, soltanto un “precipuo interesse dello stato” poteva dare luogo a una sospensione della libertà religiosa, ora basta un sospetto discriminatorio, anche non corroborato da prove, per ridefinire i confini della legittimità religiosa.

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