Contro una cristianità “totalitaria” il governo di Parigi pensa di togliere i santi dai nomi dei comuni
Pioggia di anatemi per Robert Ménard, sindaco frontista di Béziers, che di recente ha cambiato il nome di una stradina della sua città, “rue du 19 mars”, data della fine della guerra d’Algeria, ribattezzandola con il nome di un generale che partecipò al putsch del 1961. Nessuna riga nella stampa progressista, invece, sul rapporto che il gruppo di riflessione “Laïcité et République moderne” consegnerà al premier socialista Valls entro la metà di aprile. Battezzato, seguendo i dogmi della neolingua socialista, “Rivedere la toponomia della Francia alla luce del vivre-ensemble”, il rapporto prevede la soppressione di tutti i riferimenti cristiani dai nomi dei comuni francesi.
A rompere il silenzio mediatico è oggi il settimanale Minute, la tribuna di riferimento dei milieu identitari francesi – Patrick Buisson, il consigliere ombra di Sarkozy durante la campagna muscolare del 2012, ne fu per anni il direttore. Il rapporto, scrive la rivista che sulla scristianizzazione della Francia ha pubblicato negli ultimi anni le inchieste più toste, è stato curato dal deputato socialista Yann Galut, leader del collettivo la Gauche forte, e dalla senatrice ecologista Esther Benbassa, alla guida del microscopico ma influente partito Pari(s) du Vivre-Ensemble.
E’ il primo atto della “lotta contro l’apartheid territoriale, sociale, etnico” evocata da Valls nel gennaio scorso, che tra le altre cose aveva anche parlato di “frattura semantica” in riferimento a quelle persone, il cui numero secondo il premier sarebbe in perenne aumento, “che non capiscono a cosa rimandano i nomi dei comuni”. E così gli abitanti di Pont-l’Abbé, in Bretagna (Abbé significa abate), potrebbero sentirsi “insultati”, secondo i laicisti del governo. Il rapporto parla inizialmente di una non precisata “categoria di popolazione” che potrebbe sentirsi a disagio e svillaneggiata dalla cristianità dei nomi di alcuni comuni, la cui identità viene svelata soltanto a pagina 27 (in tutto sono 52): “Una frazione crescente della popolazione di origine musulmana è scossa dalle appellazioni toponomiche che rappresentano un’epoca arcaica dove l’identità della Francia, tutt’altro che plurale, si definiva esclusivamente sotto il segno di una cristianità trionfante e totalitaria”.
“Trionfante e totalitaria”, capito i laicisti? E così la Francia “figlia primogenita della Chiesa”, in nome del vivre-ensemble e di un inchino oggi sentito come obbligatorio nei confronti della comunità musulmana, punta tra le varie misure a scristianizzare i quasi 5.000 comuni francesi aventi il termine “saint”, santo, nel loro nome, al fine di “rilaicizzare profondamente la République”, si legge nel rapporto, tramite la soppressione di questi “appellativi discriminanti”. “Rilaicizzare”, che tradotto significa cancellare migliaia di anni di storia, provare vergogna per il proprio passato cristiano, per un dovere di “rattrapage”, di recupero, o meglio ancora di riscatto al cospetto delle popolazioni immigrate (Valls lo disse apertamente in un libro qualche anno fa, quando era ancora sindaco di Evry). Adieu la Francia dei campanili, adieu la Francia di Bernanos, adieu la Douce France souvenir de mon enfance che Charles Trenet conservava nostalgicamente nel suo cuore.
[**Video_box_2**]A quanto ammonta il costo dell’operazione di “relaicizzazione”? 3,4 miliardi di euro, tra spese dirette e indirette. La riforma è presentata come “audace” all’interno del rapporto, e come riporta Minute rinvia apertamente all’epoca della Rivoluzione francese, quando la Convenzione condusse una vera e propria caccia alle denominazioni che non erano considerate “rivoluzionariamente corrette”. Tremila comuni furono allora rinominati, detersi dal loro germe cristiano: Saint-Quentin divenne Egalité-sur-Somme, Saint-Caprais si trasformò in Thémistocle, Saint-Michel-de-Rivière mutò in Esprit-des-Lois. Oggi sono quasi 5.000 le città pronte a dire addio alle proprie radici cristiane, ghigliottinate dalla nuova République laicista di Francia.
I conservatori inglesi