I padrini e gli amici londinesi del nuovo presidente della Nigeria
Roma. “No Oga, No Wahala”: adesso basta con i boss che controllano le sorti del paese, ci penso io, no problem. Così, con poche e sintetiche parole di dialetto anglo-yoruba, si riassumono la forza elettorale e il fascino personale del generale Mohammadu Buhari, il nuovo presidente della Nigeria, il paese più popoloso d’Africa, che ha appena confermato di essere anche la democrazia più grande. La Nigeria è cresciuta molto negli ultimi tre lustri, da quando gli ultimi generali-dittatori hanno ceduto con riluttanza le redini del controllo di questo paese caotico e chiassoso nel 1999 a una specie di democrazia incerta e corrotta dominata dal Pdp, il partito dell’uscente capo dello stato, Goodluck Jonathan. Ma nonostante i suoi 180 milioni di abitanti, il 6 per cento abbondante di crescita annuale, le straordinarie industrie televisiva, cinematografica, musicale e tessile, la sensazione che in Nigeria tutto sia ancora nelle mani degli Oga – i grandi boss che controllano il paese in ogni settore, ottenendo tangenti massicce – è stata tale che l’elettorato ha tolto la sua fiducia al democratico ma corrotto governo di Jonathan, per affidarla al 72enne generale ex golpista, che nel 1983 detronizzò un presidente democraticamente eletto e rimase al potere per quasi due anni, prima di essere spodestato a sua volta.
Nei suoi anni al potere Buhari, musulmano dell’etnia Hausa Buhari, disse di essersi ispirato a Lee Kuan Yew, il premier autoritario che ha dominato Singapore per decenni: forte repressione della stampa e della libertà di parola, narcotrafficanti giustiziati sulla spiaggia dopo processi sommari, burocrati statali vergati con le fruste per essere arrivati in ritardo in ufficio, tanti oppositori sbattuti in carcere e a volte giustiziati. Oggi Buhari si dichiara “convertito alla democrazia”, e la frusta d’antan è stata rimpiazzata da una sana saggina (per spazzare via la corruzione) come emblema del suo partito, l’Apc: severo, draconiano, ma questa volta “born again democrat”. Quello che al debole Jonathan sembrava impossibile (combattere la corruzione, debellare Boko Haram, il terrorismo integralista islamico che ha conquistato il nord-est del paese), oggi è percepito come “fattibile” per l’integerrimo generale Buhari, che ha sempre vissuto in maniera frugale, in contrasto con lo stile lussuoso dei rivali. Ma il mito di Buhari è complesso, e non del tutto lineare. Si atteggia a outsider, che vuole abbattere l’establishment corrotto di Lagos (la metropoli sulla costa, capitale commerciale) e di Abuja (la capitale federale), ma è stato candidato presidenziale quattro volte. Si dichiara contro gli Oga, ma ha un Oga di riferimento assai forte: l’Oga di tutti gli Oga, si potrebbe dire, l’ex presidente di etnia Yoruba, il generale Olusegun Obasanjo, due volte al potere (nel 1976-1979 da dittatore e poi democraticamente eletto 1999-2007), e figura più influente del paese.
[**Video_box_2**]Durante la campagna elettorale, Buhari ha fatto una specie di pellegrinaggio a Londra, finito nel fiasco per una serie di errori di pubbliche relazioni, tutti ampiamente ripresi e commentati sui social media in Nigeria. Un discorso al prestigioso pensatoio Chatham House è stato rinviato, cancellato e poi pronunciato quasi di nascosto. Buhari ha rifuggito gli incontri con la stampa, e alla fine si è barricato nella sua residenza londinese come un clandestino. Molte chiacchiere sono state dedicate agli incontri con i megaricchi nigeriani residenti a Londra, con Aliko Dangote, l’africano più ricco del mondo (una fortuna di oltre 20 miliardi di dollari, investita per gran parte nella capitale britannica) ma soprattutto con Folorunsho Alakija, ereditiera e tycoon del petrolio, dell’immobiliare, designer di moda, filantropa. Alakija è la donna di colore più ricca al mondo (in confronto a lei Oprah Winfrey è una poveraccia) e anche la più influente in Nigeria (dopo Obasanjo). Il suo appoggio è stato fondamentale per il successo del frugale generale.