Omicidio di polizia in South Carolina
Un lettore ha scritto all’Entertainment Weekly – il Radiocorriere tv versione americana. Si complimenta per una presa di posizione meritoria: per due settimane di seguito sulla copertina del magazine sono apparsi degli artisti neri. Evviva! Del resto il successo di stagione sui teleschermi americani è “Empire”, il serial che mette in scena le dubitabili imprese della famiglia Lyons, un po’ gangster e un po’ musicista. Chi s’azzarda ancora a dire che dietro ogni rapper c’è un uomo d’affari ebreo? Leggende stantie: i neri stanno affermando le loro migliori prerogative, non solo come intellettuali e uomini di sport, ma come gente di spettacolo. Hanno lo showbiz nelle vene, no? Come Tyus Jones, il ragazzino miglior giocatore alle finali del college basketball, appena concluse dopo aver tenuto incollati alle tv milioni di connazionali, fino all’incarnazione del risarcimento razziale avvenuto, il presidente Obama.
Già: poi c’è il resto. Ferguson (Michael Brown), Staten Island (Eric Garner), Cleveland (Tamir Rice), ora North Charleston: Walter Scott. E un video, incendiario più di quello di Rodney King, 1991. Ma, prima dei fatti, una constatazione: sulla questione razziale c’è un doppio binario che non può continuare a correre parallelo, senza che conduca a tragedie imprevedibili. Senza che la questione diventi una priorità nazionale, su cui ogni americano deve assumere una responsabilità e una posizione. L’ambiguità è il malanno peggiore e persistente. Ne discende la stessa intermittente partecipazione di Obama al dibattito sulla razza, e l’avviamento di un procedimento di confronto dal quale quasi tutti hanno troppo da perdere – e che perciò continua a essere rimandato.
Unica scadenza: il rintocco a morto dei notiziari. Certo, c’è posto per i neri in America: è dimostrato dal corpo docente delle università, dai seggi del Congresso, dalle classifiche di vendita dei dischi. Ma non c’è pietà per gli altri neri in America: solo il successo è il lasciapassare per la sicurezza. Solo chi può esporre le sue credenziali è ammesso al consesso. Gli altri restano fuori, in una terra di nessuno che è il terrore afroamericano del presente. Una zona minata, dove si salta sulla prima trappola. In quella landa vagano milioni di neri, una percentuale impressionante di giovani. L’incubo è essere incastrati, accusati di un reato vero o presunto, e di lì in poi d’essere alla mercè degli aguzzini. Che si riconoscono per la divisa della polizia – agenti bianchi nei quartieri neri. Che, a dispetto dei buoni propositi, sparano. Sparano alle spalle, sparano sui disarmati, sparano senza intimare. Uccidono, convinti d’essere autorizzati a farlo. Perché minacciati o sotto apparente attacco. Da parte di un nero. Per definizione, potenzialmente pericoloso e probabilmente criminale. Frasi che hanno radici profonde, educative, etiche, legate a una trasmissione ambientale. Non esiste un provvedimento che possa sovvertire questo stato di cose, perché è uno stato mentale. Solo un lavoro lungo e collettivo. Che non s’intravede chi abbia la forza di promuovere.
[**Video_box_2**]I fatti: North Charleston, South Carolina. Popolazione per il 47 percento nera. Dipartimento di polizia a schiacciante percentuale bianca. Walter Scott, 50 anni, viene fermato dall’agente Michael Slager, 33 anni, perché un fanalino della sua Mercedes è rotto. Ha precedenti penali minori, per ritardo nel pagamento degli alimenti per i figli. Tra i due forse c’è un alterco, le testimonianze per ora sono scarse. Invece abbiamo le immagini girate dal chi stava a pochi passi dal prato dove va in scena la tragedia. Cominciano con l’agente che aziona il suo taser, la pistola immobilizzante per fermare Scott, senza successo. Scott s’allontana, correndo. Slager fa fuoco, otto volte. Cinque colpi a segno. Uno trapassa il cuore. Scott crolla a terra. Slager si avvicina e l’ammanetta, a faccia in giù. Probabilmente è già morto. Lo lascia lì, chiama la centrale. Butta per terra qualcosa – forse il taser del quale accuserà di furto Scott, inscenando una montatura. Arriva un collega. Verifica il battito di Scott. Nessuno presta soccorso all’uomo. Regna un’atmosfera di routine. Il sindaco di North Charleston, quando il filmato arriva al New York Times, dirà: “Se hai torto, hai torto. Se prendi una decisione sbagliata, non importa se sei in divisa o no, devi fare i conti con quella decisione”. Non si parla di omicidio, di ricorrenze, di razza, di assurdo sociale. Circospezione. Si sa come reagiscono i dipartimenti di polizia. Bisogna andarci coi piedi di piombo. Si sa da chi dipende la sicurezza della comunità. Si sa come questo rompicapo ingoia vite e, ancor di più, genera paura, sospetto, odio represso. Tutti guardano il video. Nessuno ha la più pallida idea del punto da cui cominciare.