Il deputato trasandato e antiputiniano che ora è accusato, guarda un po', di corruzione
Milano. Ilya Ponomaryov ha 39 anni, è nato a Mosca, lo definiscono “neotrotskista”, lui dice di essere un “socio-globalista”, non gli piace il mondo americanocentrico, detesta il G8, la World Trade Organization, il Fondo monetario internazionale, ma detesta anche l’autoritarismo di Vladimir Putin, vorrebbe che la sinistra fosse la protettrice delle libertà sociali e politiche e difendesse le minoranze oppresse e che la Russia diventasse democratica, ha lavorato alla Yukos (famigerata azienda di Khodorkovsky), ora è un imprenditore nel settore delle tecnologie, oltre che parlamentare nella Duma, rappresentante di Novosibirsk, la terza città più popolosa della Federazione russa, in Siberia. Ponomaryov è stato l’unico deputato ad aver votato contro l’annessione della Crimea alla Russia, l’anno scorso, il primo atto dell’Opa di Putin sull’Ucraina. I giornali internazionali allora si riempirono di piccoli ritratti su di lui, in cui si ricordava la sua partecipazione alle proteste del dicembre del 2012, quelle in cui tutti si coccolarono nell’illusione che Putin sarebbe rimasto ferito per sempre, debole e vicino alla caduta, e di quella volta che disse che i putiniani erano “imbroglioni e ladri” – una provocazione che è poi stata sanzionata con un mese di divieto di parola alla Duma e con un raid nell’ufficio di una sua assistente. La stragrande maggioranza del Parlamento russo detesta Ponomaryov, le sue idee, le sue parole, persino il suo modo di vestire, dicono che è trasandato e che conciato così non dovrebbe nemmeno presentarsi alla Duma. Lui dall’agosto scorso vive in esilio, se si può definire così, negli Stati Uniti.
Martedì i colleghi russi hanno votato per togliere a Ponomaryov l’immunità parlamentare, 438 voti a favore, uno contrario, in modo da poter mandare avanti l’inchiesta contro di lui: l’accusa è di corruzione, si sarebbe appropriato indebitamente di 22 milioni di rubli (circa 400 mila euro) che fanno capo a un’azienda tecnologica di proprietà dello stato, la Skolkovo, con cui Ponomaryov ha firmato un contratto nel 2010 del valore di 750 mila euro. Skolkovo, scrive il Wall Street Journal, era un progetto dell’ex presidente Dmitri Medvedev che aveva attirato molti investitori stranieri, ma da quando Putin è al Cremlino l’azienda è sempre stata sotto inchiesta per sospette corruzioni. Ora è il turno di Ponomaryov. Prima del voto di martedì, Frants Klintsevich, deputato del partito di governo Russia Unita, ha detto: “In ogni discorso di Ponomaryov non c’è soltanto disamore per la Russia, c’è odio. Dobbiamo fare in modo che le parole ‘parlamentare della Duma russa’ e ‘traditore della Russia’ non stiano mai assieme”. Il sospetto che stia per iniziare un processo politico contro Ponomaryov è forte, anche se a dirlo è soltanto, oltre all’indagato, l’unico parlamentare (sì, questa è una storia di mosche bianche, o forse più semplicemente è la storia della dissidenza in Russia) che ha votato contro la revoca dell’immunità di Ponomaryov: si tratta di Dmitry Gudkov, figlio di Gennady, un altro animatore della protesta antiputiniana del 2012, al quale il seggio è stato tolto per accuse di, indovinate un po’, corruzione. Dmitry Gudkov ha detto: “E’ chiaramente una questione politica, basta ascoltare i discorsi prima del voto per capirlo”. Gli inquirenti negano, dicono che ci sono le prove del reato e che non appena saranno presentate tutto questo chiacchiericcio sul deputato-martire dell’antiputinismo finirà in una condanna concorde. La stragrande maggioranza dei russi pensa che i dissidenti abbiano la mania di nascondere i loro traffici loschi dietro a istanze liberali che piacciono molto all’occidente, cosicché i media internazionali possono continuare a parlar male della Federazione russa. Sarà, ma tutti gli oppositori di Putin sono stati resi innocui con condanne penali e anni di galera. Tranne Boris Nemtsov, naturalmente, che è stato ucciso per strada, una sera, a due passi dal Cremlino, quaranta giorni fa: per ora si sa solo che l’unico che ha confessato l’omicidio è stato costretto a farlo, lo avevano torturato.
L'editoriale dell'elefantino