In Israele la tentazione di Bibi è la grande coalizione
Per ora è soltanto una tentazione per Benjamin Netanyahu. Il primo ministro israeliano, eletto a un quarto mandato a metà marzo, avrebbe i numeri per formare una coalizione di governo, con i 67 seggi necessari ottenuti grazie a un'alleanza con partiti della destra nazionalista, con i religiosi ultraortodossi e con il gruppo centrista Kulanu. I negoziati però sono ancora in corso e i media israeliani non escludono la possibilità di un governo di unità nazionale con il rivale sconfitto Isaac Herzog. Lo stesso premier avrebbe detto al suo entourage di averci pensato, hanno rivelato alcuni giornali. Bibi e Bouji – i nomignoli dei due leader – messi assieme da "un cattivo accordo" sul nucleare iraniano, come lo ha ripetutamente definito Netanyahu.
A irrobustire le speculazioni e le aspettative c'è un documento interno dell'Unione sionista, il movimento guidato dal leader laburista Herzog e dall'ex ministra della Giustizia Tzipi Livni. Nel testo compare una chiara presa di posizione contro l'intesa preliminare raggiunta dagli Stati Uniti e da altre cinque potenze internazionali con Teheran sul programma nucleare della Repubblica islamica. Esattamente come ha fatto finora Netanyahu, la sinistra israeliana critica l'accordo e chiede profondi cambiamenti nel testo dell'intesa firmata in Svizzera, da ratificare a giugno. Così, l'opposizione si avvicina alle posizioni di un premier che è stato definito in queste settimane di controversie sull'accordo nucleare una voce isolata. A tentare Netanyahu – e di questa possibilità si parla dalle ore immediatamente successive al voto del 17 marzo – è quello che il rivale Herzog potrebbe portare alla sua coalizione e al suo governo: una faccia dialogante che racconti all'indispettito alleato americano e alle rigide cancellerie europee una volontà di apertura sul conflitto israelo-palestinese, come hanno rivelato fonti interne all'ufficio del premier al quotidiano Haaretz, e la possibilità per Israele di diventare sull'intesa iraniana un interlocutore meno spigoloso e non soltanto un'inascoltata Cassandra.
Le indiscrezioni della stampa israeliana raccontano che qualcosa si sta muovendo sotto la superficie di gelido distacco: dai giorni prima del voto sia un campo sia l'altro negano ogni possibilità di formare un esecutivo di unità nazionale. Eppure, l'emittente Channel 1 ha parlato di un presunto incontro avvenuto nei giorni scorsi tra Netanyahu e Herzog. Il leader laburista ha smentito. L'Unione sionista ha smentito. Il Likud ha smentito. Durante il weekend, i segnali sono arrivati però direttamente dal primo ministro, anche se le sue parole sono aperte a interpretazione: Netanyahu ha parlato della necessità dell'unità di Israele e il ministro dell'Interno Gilad Erdan ha poi spiegato che dietro quella breve frase si nasconderebbe "più che un segnale" della volontà di coinvolgere Herzog.
[**Video_box_2**]Agli israeliani piacerebbe, secondo i numeri di un sondaggio dell'Israel Democracy Institute dell'inizio di aprile, secondo il quale il 49 per cento della popolazione sarebbe favorevole a un esecutivo formato dalla destra e dai laburisti. Tecnicamente, la questione non è semplice e sembra impossibile che l'intera Unione sionista possa accettare un simile accordo senza uno scisma o senza che Herzog riceva in cambio una posizione di grande peso (una premiership a rotazione?). Politicamente, una simile coalizione aprirebbe al perpetuo scontro tra lo zoccolo duro religioso-nazionalista e la sinistra sulle questioni legate al conflitto con i palestinesi.
L'ultimo governo di unità nazionale in Israele risale al 1984, quando la poltrona di primo ministro ruotò tra il leader laburista Shimon Peres e il capo della destra del Likud Yitzhak Shamir. A spingere per quella condivisione del potere fu, in una coincidenza politica che oggi fa sorridere, l'allora presidente Chaim Herzog, padre dell'attuale leader laburista.
Cosa c'è in gioco