Sisi contro Gaza
Roma. Domenica l’agenzia governativa egiziana Mena ha annunciato che un decreto presidenziale ha cambiato il codice penale e ora chi scava e utilizza i tunnel che passano sotto il confine tra il Sinai e la Striscia di Gaza rischia una pena fino all’ergastolo. La nuova legge stabilisce anche che chi è a conoscenza dell’esistenza di un tunnel ma non lo denuncia alle autorità rischia la stessa pena, la prigione a vita. Inoltre gli edifici che coprono l’imboccatura dei tunnel e gli strumenti usati per scavarli diventano di diritto proprietà del governo. I tunnel di contrabbando sono il sistema linfatico della Striscia di Gaza, e attraverso di loro passa – anzi, passava – un po’ di tutto, sigarette, automobili, telefonini, pecore e anche armi. Negli anni scorsi sono stati a lungo tollerati dal Cairo come parte di un’economia parallela.
Il governo del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi nell’ultimo anno ha preso una serie di misure molto dure contro i tunnel che portano alla Striscia di Gaza, a dispetto delle proteste locali. A ottobre l’esercito ha cominciato a demolire con l’esplosivo tutti gli edifici entro cinquecento metri dal confine, per eliminare la possibilità di coperture ai lavori di scavo – di solito l’ingresso dei tunnel di contrabbando è riparato da una casa, che nasconde prima i lavori e poi traffici sottostanti. L’ultima esplosione secondo i testimoni risale a domenica pomeriggio, ma è complicato avere notizie precise perché il Sinai lungo il confine è una zona interdetta ai giornalisti. A novembre questa fascia è stata raddoppiata a mille metri, perché alcuni tunnel erano più lunghi di quanto si pensasse: il primo aprile gli egiziani ne hanno scoperto uno lungo tre chilometri. I militari hanno distrutto 240 gallerie allagandole con acqua di fogna.
A fine febbraio una corte egiziana ha inserito Hamas – la fazione palestinese che controlla la Striscia – nella lista dei gruppi “terroristici”, e Hamas ha reagito dicendo che non accetterà più il governo del Cairo come broker nei negoziati indiretti con Israele in caso di guerra, come era sempre successo finora.
La distruzione dei tunnel e da ora le pene alte per chi li usa stanno effettivamente fermando il traffico clandestino sotto e sopra il confine. Un trafficante d’armi egiziano, “Abu Mohammed”, citato ieri in un commento del Gatestone Institute, un think tank vicino a Israele che si occupa di strategia, dice che il passaggio di armi dentro Gaza si è interrotto quasi del tutto da febbraio. Il costo di un proiettile che prima era di un dollaro ora dentro la Striscia è raddoppiato. Il prezzo di un fucile d’assalto Ak-47 è salito da 900 a 1.300 dollari. Il prezzo di un pacchetto di sigarette è triplicato. Sopra la superficie del suolo c’è un valico, Rafah, ma le autorità egiziane lo usano come uno strumento di pressione politica e lo tengono chiuso la maggior parte del tempo – quest’anno è stato aperto al traffico soltanto due giorni.
[**Video_box_2**]La guerra ai tunnel fa parte di una campagna del governo egiziano guidato da Sisi contro i guerriglieri islamisti nel Sinai, cominciata l’anno scorso dopo la morte di quaranta soldati in un attacco che secondo il Cairo era stato pianificato oltreconfine a Gaza. Nel novembre 2014 il gruppo estremista locale Ansar Bait al Maqdis pubblicò una dichiarazione di fedeltà allo stato islamico e cambiò il suo nome in “Provincia del Sinai dello Stato islamico”. Domenica, in due diversi attacchi, lo Stato islamico ha ucciso 14 poliziotti nel Sinai. La legge sull’ergastolo sembra scaturire dalla notizia che alcuni guerriglieri sono andati a farsi curare a Gaza.
Questa guerra locale ha però riflessi importanti nella politica del medio oriente. Senza i tunnel, Hamas e i gruppi armati della Striscia restano senza soldi per l’economia e senza armi. Le fazioni palestinesi di Gaza basano da sempre sul traffico nei tunnel la propria capacità di rigenerare l’arsenale di razzi che usano nelle guerre contro Israele. Se ora i tunnel non ci sono più – o sono comunque molto complicati da scavare e usare – questa capacità viene meno. L’Egitto di Sisi sta disarmando il nemico più vicino di Israele con misure durissime, che investono da vicino anche la popolazione – e che però non scatenano le stesse reazioni internazionali scatenate dalle misure imposte da Israele contro la Striscia più a nord.