Abbracci e rimproveri
La missione di Renzi da Obama per ritagliarsi un posto da broker
New York. Barack Obama ha subito corretto il suo “benvenuto” a Matteo Renzi con un “welcome back”, ricordando una sua precedente visita alla Casa Bianca da sindaco di Firenze, forse per dissipare qualche tensione intorno ai 14 mesi di anticamera che il premier ha fatto prima di essere ricevuto alla Casa Bianca. Nell’incontro di venerdì Obama ha messo sul tavolo innanzitutto l’agenda per la crescita economica, questione cruciale nel dialogo con l’Europa e sulla quale Renzi è un partner più ricettivo rispetto ad altri interlocutori del vecchio continente. Nella guerra di trincea dell’America contro l’austerità, il premier italiano è un alleato naturale e nella conferenza stampa (tenuta a East Wing, non nel più prestigioso Rose Garden, come annunciato) ha reiterato la fedeltà al modello americano. Negli ultimi otto anni, del resto, il pil dell’America è aumentato e la disoccupazione è diminuita, mentre in Europa è successo l’esatto contrario: “Qualcosa non ha funzionato a casa nostra”, ha chiosato Renzi.
L’invincibile armonia sulla crescita è il messaggio che vuole far passare l’entourage di Obama, declassando gli altri punti in agenda (innanzitutto Libia e Ucraina) al rango di questioni importanti ma poco più che simboliche, da discutere preferibilmente su altri tavoli, in altri formati. Sul dossier russo, discusso pubblicamente in termini ovattati, pare siano emersi a porte chiuse momenti di malumore. Una fonte del dipartimento di stato conferma che il viaggio di Renzi in Russia del mese scorso non è stato gradito a Washington, e che il presidente non ha mancato di esprimere il suo disappunto. Merkel e Hollande hanno visto Putin nel contesto dei negoziati di Minsk, mentre Renzi s’è ritagliato un profilo di autonomia nella gestione dei rapporti con Mosca che non è stato accolto con particolare favore a Washington, anche se non sfuggono a nessuno le ragioni strategiche e commerciali dell’Italia. La ricerca di un’iniziativa internazionale autonoma, anche per smarcarsi dai formati a trazione franco-tedesca che prevalgono su tutti i dossier di peso, è un tratto ricorrente della politica renziana, ma finché il premier tratta con il presidente egiziano al Sisi l’amministrazione multilaterale di Obama annuisce e incoraggia, quando si parla di Putin l’antifona cambia. Sisi è un alleato solido e strategicamente decisivo per la Casa Bianca, che lo ha riabilitato anche formalmente con lo scongelamento dei fondi militari; Putin è un avversario che va isolato a suon di sanzioni.
[**Video_box_2**]La fonte americana sentita dal Foglio allude a un tentativo di Renzi di rendere potabile Putin per la Casa Bianca, ritagliandosi un ruolo da broker, per lenire e ricucire, in quella che sarebbe una riedizione renziana del summit di Pratica di Mare o almeno una rivitalizzazione del suo spirito. Possibile? Mah. Cavalcando la suggestione, un osservatore vicino alla Farnesina fa notare che sarebbe una manovra d’andamento e stile berlusconiano che onorerebbe “un rapporto più profondo di quanto si pensi”. Nel rumore di fondo c’è anche chi riduce la polemica russa fra Roma e Washington a operazione di spin della squadra di Renzi, per conferire statura e senso di autorevolezza a una posizione di politica estera altrimenti risucchiata da logiche di coalizione, sempre subalterna alle decisioni prese in qualche altra capitale. Per l’ambasciatore Giovanni Castellaneta, che era consigliere a palazzo Chigi durante Pratica di Mare e poi è stato ambasciatore a Washington, “non è nello stile della Casa Bianca fare questo tipo di osservazioni in un incontro bilaterale fra alleati, non credo si tratti di questioni prioritarie per quanto riguarda i rapporti con l’Italia. L’America non ha bisogno di mediatori quando si tratta dei rapporti con la Russia, e Obama ci ha provato a fare il reset, il problema è che per spingere il bottone del reset bisogna essere in due”.