Genocidio degli armeni, anche il Bundestag chiamato a pronunciarsi
Roma. Il 24 aprile sarà solennemente ricordato, con una grande cerimonia nella capitale armena Erevan, il centenario del massacro degli armeni nell’Impero ottomano, gigantesca operazione di pulizia etnico-religiosa che comportò un milione e mezzo di morti e per la quale i governanti turchi, di ora e di sempre, rifiutano la definizione di “genocidio”. Sempre il 24 aprile, il Parlamento tedesco sarà chiamato a votare una mozione che commemora quegli eventi. “Il destino degli armeni durante la Prima guerra mondiale è esemplare dal punto di vista dei crimini di massa, delle epurazioni etniche, delle espulsioni di popolazione e dei genocidi del Ventesimo secolo”: la formula scelta dal progetto di risoluzione che sarà sottoposto al Bundestag non chiama direttamente “genocidio” la strage degli armeni ma di fatto la associa a quel crimine (fu del resto un ebreo russo-polacco, Raphael Lemkin, ad aver coniato la parola “genocidio” nel 1939, proprio riferendola agli armeni e senza sapere che avrebbe designato il destino degli ebrei d’Europa negli anni Quaranta). Chissà se, nel caso in cui fosse votata dal Bundestag, quella risoluzione comporterà anche per la Germania le violente reprimende con richiamo di ambasciatore già riservate al Vaticano dal presidente turco Erdogan (ancora ieri, il gran Muftì Mehmet Gormez ha definito “immorali” le parole con cui il Pontefice ha parlato domenica scorsa del genocidio degli armeni). C’è attesa, per l’eventuale pronunciamento che allineerebbe la Germania alla posizione dell’Unione europea e della Francia su una questione che da tempo ha travalicato i confini dell’interpretazione storiografica per diventare politica. La Germania ospita infatti la comunità turca all’estero estera più numerosa (tre milioni). E’ di origine turca anche il segretario dei Verdi tedeschi, il parlamentare europeo Cem Ozdemir, tra coloro che chiedono di chiamare chiaramente “genocidio” il massacro degli armeni.
Nel frattempo, sul fronte diplomatico, va registrata una dichiarazione ufficiale del primo ministro turco, Ahmet Davutoglu: “Comprendiamo le vicissitudini, ricordiamo con rispetto gli armeni ottomani innocenti che hanno perso la vita e rivolgiamo il nostro profondo cordoglio ai loro discendenti”, si legge nella dichiarazione, dove si annuncia che “il 24 aprile di quest’anno sarà organizzata una cerimonia religiosa da parte del Patriarcato armeno e gli armeni ottomani saranno ricordati anche in Turchia, così come nel resto del mondo”. Una riedizione delle guardinghe “condoglianze” rivolte lo scorso anno dall’allora primo ministro Erdogan (ora presidente). Davutoglu si rammarica del fatto che ancora non sia possibile, per Armenia e Turchia, “commemorare insieme gli armeni ottomani con una cerimonia degna di entrambe le nazioni, ma non lesina le lamentele sulle “generalizzazioni” che addossano la responsabilità dei fatti del 1915 solo alla “nazione turca”. Il messaggio del premier si conclude così: “Ancora una volta commemoriamo con profondo rispetto gli armeni ottomani che hanno perso la vita nel 1915 durante i trasferimenti e condividiamo la sofferenza dei loro figli e nipoti”. Gli fa eco, da Washington, il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, che di fronte al Consiglio turco-americano ha dichiarato che “non possiamo concederci il lusso di mollare, né quest’anno né in quelli a venire”, perché la Turchia vuole arrivare con “pazienza e determinazione, a ristabilire un’empatia tra i due popoli” che a lungo hanno convissuto negli stessi territori. Un passo avanti, va detto, per chi a lungo ha negato l’esistenza stessa degli armeni delle zone da cui sono stati fatti fuori con la violenza dal 1915, abitate dagli armeni fin dalla notte dei tempi. Alla domanda su cosa ne pensasse della risoluzione del Parlamento europeo che riconosce il genocidio degli armeni, il ministro degli Esteri ha poi risposto che “non è vincolante”.
Dalle piazze ai palazzi