Genocidio degli armeni, anche il Bundestag chiamato a pronunciarsi

Nicoletta Tiliacos
Si avvicina la data simbolo del 24 aprile. Le “condoglianze” del primo ministro turco ai discendenti degli armeni ottomani non compensano gli attacchi di Erdogan contro il Papa.

Roma. Il 24 aprile sarà solennemente ricordato, con una grande cerimonia nella capitale armena Erevan, il centenario del massacro degli armeni nell’Impero ottomano, gigantesca operazione di pulizia etnico-religiosa che comportò un milione e mezzo di morti e per la quale i governanti turchi, di ora e di sempre, rifiutano la definizione di “genocidio”.  Sempre il 24 aprile, il Parlamento tedesco sarà chiamato a votare una mozione che commemora quegli eventi. “Il destino degli armeni durante la Prima guerra mondiale è esemplare dal punto di vista dei crimini di massa, delle epurazioni etniche, delle espulsioni di popolazione e dei genocidi del Ventesimo secolo”: la formula scelta dal progetto di risoluzione che sarà sottoposto al Bundestag non chiama direttamente “genocidio” la strage degli armeni ma di fatto la associa a quel crimine (fu del resto un ebreo russo-polacco, Raphael Lemkin, ad aver coniato la parola “genocidio” nel 1939, proprio riferendola agli armeni e senza sapere che avrebbe designato il destino degli ebrei d’Europa negli anni Quaranta). Chissà se, nel caso in cui fosse votata dal Bundestag, quella risoluzione comporterà anche per la Germania le violente reprimende con richiamo di ambasciatore già riservate al Vaticano dal presidente turco Erdogan (ancora ieri, il gran Muftì Mehmet Gormez ha definito “immorali” le parole con cui il Pontefice ha parlato domenica scorsa del genocidio degli armeni). C’è attesa, per l’eventuale pronunciamento che allineerebbe la Germania alla posizione dell’Unione europea e della Francia su una questione che da tempo ha travalicato i confini dell’interpretazione storiografica per diventare politica. La Germania ospita infatti la comunità turca all’estero estera più numerosa (tre milioni). E’ di origine turca anche il segretario dei Verdi tedeschi, il parlamentare europeo Cem Ozdemir, tra coloro che chiedono di chiamare chiaramente “genocidio” il massacro degli armeni.

 

Nel frattempo, sul fronte diplomatico, va registrata una dichiarazione ufficiale del primo ministro turco, Ahmet Davutoglu:  “Comprendiamo le vicissitudini, ricordiamo con rispetto gli armeni ottomani innocenti che hanno perso la vita e rivolgiamo il nostro profondo cordoglio ai loro discendenti”, si legge nella dichiarazione, dove si annuncia che “il 24 aprile di quest’anno sarà organizzata una cerimonia religiosa da parte del Patriarcato armeno e gli armeni ottomani saranno ricordati anche in Turchia, così come nel resto del mondo”. Una riedizione delle guardinghe “condoglianze” rivolte lo scorso anno dall’allora primo ministro Erdogan (ora presidente). Davutoglu si rammarica del fatto che ancora non sia possibile, per Armenia e Turchia, “commemorare insieme gli armeni ottomani con una cerimonia degna di entrambe le nazioni, ma non lesina le lamentele sulle “generalizzazioni” che addossano la responsabilità dei fatti del 1915 solo alla “nazione turca”. Il messaggio del premier si conclude così: “Ancora una volta commemoriamo con profondo rispetto gli armeni ottomani che hanno perso la vita nel 1915 durante i trasferimenti e condividiamo la sofferenza dei loro figli e nipoti”. Gli fa eco, da Washington, il ministro degli Esteri  Mevlut Cavusoglu, che di fronte al Consiglio turco-americano ha dichiarato che “non possiamo concederci il lusso di mollare, né quest’anno né in quelli a venire”, perché la Turchia vuole arrivare con “pazienza e determinazione, a ristabilire un’empatia tra i due popoli” che a lungo hanno convissuto negli stessi territori. Un passo avanti, va detto, per chi a lungo ha negato l’esistenza stessa degli armeni delle zone da cui sono stati  fatti fuori con la violenza dal 1915, abitate dagli armeni fin dalla notte dei tempi. Alla domanda su cosa ne pensasse della risoluzione  del Parlamento europeo che riconosce il genocidio degli armeni, il ministro degli Esteri ha poi risposto che “non è vincolante”. 

 

[**Video_box_2**]Altri toni, rispetto alla virulenza delle dichiarazioni di Erdogan contro il Papa. Ma forse, ancora una volta, non bisogna farsi illusioni. La tesi ufficiale turca è ancora quella della “guerra civile”, che confonde l’annientamento sistematico delle popolazioni armene da parte degli ottomani con la “normale” dinamica delle ostilità tra gruppi etnici diversi nel gran caos del primo conflitto mondiale. Nel frattempo, la società turca ha fatto passi da gigante nella consapevolezza di quello che accadde agli armeni ottomani dal 1915 in poi. Lo racconta molto bene un libro della scrittrice turca in esilio Pinar  Selek, intitolato “La maschera della verità”,  appena pubblicato da Fandango, mentre il più completo resoconto sul genocidio armeno (“The Young Turks’ Crime against Humanity”) è opera di un altro turco esule, lo storico Taner Akcam, che oggi insegna in America. Un altro giornalista turco, Hasan Cemal, ha scritto tre anni fa un libro che in Turchia è diventato un bestseller, intitolato “1915. Il genocidio armeno”. Dopo la sua uscita, Cemal si è dimesso dal giornale su cui scriveva perché non poteva più garantirgli la libertà di parola (gli è andata ancora bene: a Taner Akcam, nel 1976, era toccata la galera). Le tesi e la documentazione raccolta da Cemal sono fonte di doppio imbarazzo per la versione turca sul genocidio negato: egli è infatti il nipote diretto di uno dei responsabili del genocidio, quel Jemal Pascià che con Mehmed Tal’at Pascià ed Enver Pascià formò la triade di Giovani turchi condannata a morte in contumacia da una corte marziale ottomana nel 1919, proprio perché riconosciuta colpevole delle atrocità contro gli armeni. La sentenza non sarebbe mai stata eseguita, se non ci avesse pensato la Nemesi armena, nel 1922 a Tbilisi, dove Jemal Pascià viveva indisturbato.
Di più su questi argomenti: