Al vertice sugli sbarchi i paesi europei promettono solidarietà, (ma è un problema vostro)
Bruxelles. Con il Vertice europeo straordinario convocato d’urgenza dopo la tragedia di domenica nel Mediterraneo “ci sono le condizioni per cambiare l’approccio in Europa”, perché l’immigrazione “non è più solo un problema dell’Italia o di Malta, ma è una questione di diritto umanitario, di giustizia, di sicurezza”, ha detto giovedì il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E’ necessario “salvare” i migranti in mare, “ma anche schiacciare le gang e stabilizzare la regione. La Gran Bretagna come sempre aiuterà”, ha risposto David Cameron, annunciando l’invio della nave porta elicotteri Bulwark, di tre elicotteri e di due pattugliatori. Ma alle “giuste condizioni”, ha avvertito Cameron: “Le persone che vengono salvate siano portate nel paese sicuro più vicino, molto probabilmente l’Italia, e non abbiano diritto di chiedere asilo nel Regno Unito”. Impegnato in una campagna elettorale in cui è insidiato dal partito anti immigrazione Ukip, Cameron ha sintetizzato alla perfezione l’antinomia che impedisce all’Unione europea di avere una politica comune sulle migrazioni: la solidarietà nei confronti dell’Italia o dei migranti si scontra con il limite della sovranità nazionale e delle ragioni di politica interna. Dopo un naufragio con centinaia di morti, tutti si dicono pronti a dare una mano. Giovedì sono piovute promesse di navi ed elicotteri, che dovrebbero prendere parte a un’operazione di Politica di difesa e sicurezza comune (Pesd) per distruggere le imbarcazioni dei trafficanti. I leader europei hanno anche deciso di mettere mano al portafoglio triplicando i fondi per la missione di sorveglianza alle frontiere Triton. Sono due passi in avanti in linea con le richieste di Renzi. Ma quando si tratta di spartirsi il fardello dei disperati – migranti economici o richiedenti asilo – ognuno per sé: Italia, Malta e Grecia devono tenersi le decine di migliaia di persone che sbarcano, salvo lasciarle espatriare verso altri paesi europei in tutta discrezione, perché altrimenti si violerebbero le regole di Dublino.
Il terrore dei governi europei per il “pull factor” – il fattore calamita per i migranti, costituito dalla certezza di essere salvati se c’è una nave militare o un guardacoste nei paraggi – rende fragili anche i due progressi realizzati dal Vertice. L’ipotesi di cambiare il mandato di Triton per trasformarla in una missione di “search and rescue” o di allargare il raggio di azione di Triton oltre le 30 miglia dalle coste italiane è stata scartata dai leader. Nell’operazione Pesd per distruggere le imbarcazioni dei trafficanti, diversi paesi non vogliono inviare navi militari sulla costa libica: meglio puntare sulla sorveglianza aerea e su attacchi mirati con i droni. “Ci sono interrogativi su come metterla in opera”, riconosce al Foglio una fonte europea. La motivazione inconfessata è la stessa che aveva spinto i partner europei a fare pressioni sull’Italia per chiudere Mare Nostrum: secondo il diritto del mare, le navi europee, civili o militari, avrebbero l’obbligo di soccorrere le imbarcazioni in difficoltà. Come con Mare Nostrum, appena superate le acque territoriali libiche, i trafficanti lancerebbero i loro sos, costringendo gli europei a intervenire. I migranti sarebbero incoraggiati a usare la rotta della Libia e a imbarcarsi. I professionisti dell’umanitario e l’Europarlamento sottolineano che la fine di Mare Nostrum non ha fatto diminuire il numero degli sbarchi, ma salire il numero dei morti. Ma una Mare Nostrum europea – secondo i leader – faciliterebbe il lavoro dei moderni schiavisti, che non si farebbero scrupoli a far salpare imbarcazioni pronte ad affondare.
[**Video_box_2**]Le conclusioni del Vertice restano vaghe sui grandi tabù, prendendo tempo per insabbiare le proposte più sensibili. Per la riallocazione interna dei richiedenti asilo, i leader hanno promesso di “valutare opzioni”, ma nessuno vuole ricorrere a una direttiva del 2001 che permetterebbe di offrire protezione temporanea in caso di afflusso massiccio, ripartendo gli sforzi di accoglienza tra gli stati membri. Il “programma pilota” di reinsediamento nei paesi europei di chi può beneficiare della protezione internazionale – profughi siriani nei campi in Turchia, Libano e Giordania – è inadeguato: 5-10 mila posti contro i 130 mila chiesti dall’Unhcr. Una riforma delle regole di Dublino, che impongono di trattenere sul territorio del paese di arrivo i richiedenti asilo, non è nemmeno citata.