I colpevoli sono i terroristi
e della guerra asimmetrica a Israele, non il moralismo arcobaleno.
E’ colpa di Obama, titolano tutti i giornali, mentre il presidente, che è commander in chief, chiede giustamente scusa alle famiglie di Giovanni Lo Porto e Warren Weinstein. Il giorno dopo l’annuncio della Casa Bianca sull’uccisione dei cooperanti in Pakistan si è già persa la responsabilità ultima per la perdita di quelle due vite. La responsabilità dei terroristi.
Loporto e Weinstein non sono stati uccisi dall’occidente e dai suoi aerei senza pilota. Sono morti perché i jihadisti li usavano come scudi umani. E’ come nelle cicliche guerre fra Israele e i terroristi palestinesi, che si snodano fra la compassione per il dolore della popolazione investita dal fuoco e la concreta questione della sicurezza esistenziale della sola democrazia in medioriente sotto attacco. Anche lì si perde sempre di vista il disprezzo della vita da parte di Hamas, anche del proprio popolo, anche dei bambini usati come human shields in una oscena strumentalizzazione delle loro vite. E’ la logica di Beslan. E’ la differenza fra civiltà occidentale e islam, che consiste proprio nel valore attribuito alla vita umana, che nella nostra cultura è alla base di tutto (o quasi) e in quella islamica militante rappresenta un bene di servizio per la grandezza del Supremo. E questa differenza mancava venerdì nel titolo cubitale di Avvenire, il giornale della Cei: “Il mondo dei giusti non è il mondo dei droni”.
Baldoni, Quattrocchi, Frammartino, Arrigoni e gli altri cooperanti italiani uccisi erano finiti nelle mani del nemico. E il nemico non sono i droni, i marines, i carabinieri di Nassiriyah, i cingolati israeliani. E’ l’islam politico in armi. Invece il moralismo arcobaleno, con la sua ferocia inumana, ha saputo persino distinguere tra “il mercenario” che doveva portare la mesata a casa, Fabrizio Quattrocchi, e l’“uomo di pace”, il giornalista Enzo Baldoni. Distinzioni che sfuggono ai predoni islamici. E’ la sindrome Yvonne Ridley, la giornalista britannica prigioniera dei taleban in Afghanistan, da cui uscì per trasformarsi in accusatrice dell’occidente. Quando Angelo Frammartino, un ragazzo di Roma vicino a Rifondazione comunista e all’Arci che cantava “le fionde dei ragazzi palestinesi della prima intifada”, venne accoltellato a morte a Gerusalemme, i giornali all’epoca non ebbero neppure il coraggio di dire perché era morto. Nessuno scrisse che il suo assassino pensava che Angelo fosse “un ebreo”. Ed era sembrato che Salvatore Santoro, un contadino di Pomigliano che era andato in Iraq con la ong Charity for England and Wales, fosse rimasto vittima della “guerra”, non che fosse stato ucciso dai terroristi a Ramadi. Lo stesso vale per Vittorio Arrigoni, che sognava di “fare da scudo umano per i pescatori palestinesi” e invece è finito scudo dell’islamismo che ha fatto di Gaza un carcere della sharia. La “resistenza irachena” per cui Giuliana Sgrena aveva parteggiato la costrinse in video, vessandola, a farsi megafono del ricatto terroristico. Accadde anche nell’assedio al teatro Dubrovka e la morale della storia non fu la presa di Mosca nel nome di Allah, ma la “strage di stato” (titolava l’Unità) e sembrò che cento e passa morti li fecero le teste di cuoio di Putin col gas e non i terroristi ceceni che li avevano presi in ostaggio.
[**Video_box_2**]Lo ha scritto venerdì anche il Wall Street Journal: “Gli uomini responsabili della morte di Weinstein e Lo Porto sono i jihadisti che li hanno rapiti in Pakistan. Il modo per evitare simili tragedie è quello di uccidere i jihadisti prima che li rapiscano”. Lo ha detto anche la moglie di Weinstein, Elaine: “La responsabilità ultima è di quelli che hanno tenuto prigioniero Warren più di tre anni. Sarebbe ancora vivo se gli avessero permesso di tornare a casa”. Una frase che la stampa ha oscurato per privilegiare quella su Obama. Ma la tragedia e la virtù non ci interessano, la colpa e il peccato occupano tutto il nostro campo visivo. E la colpa è più facile addossarla a Tzahal o ai droni.