Una casa colpita da un drone in Pakistan

La crisi della guerra dei droni

Daniele Raineri
Secondo le regole di Obama quel missile non doveva essere sparato. L’Amministrazione pensava che dopo il ritiro delle truppe dall’Afghanistan quel tipo di bombardamento non sarebbe stato più necessario e il rischio di errori – come nel caso di Lo Porto – avrebbe superato i vantaggi

Roma. Il presidente americano Barack Obama aveva annunciato la fine a partire dal 2015 (con un discorso nel 2013) di quel tipo di attacchi con i droni chiamato “signature strike” che a gennaio ha ucciso gli ostaggi Giovanni Lo Porto e Warren Weinstein. L’Amministrazione pensava che dopo il ritiro delle truppe dall’Afghanistan quel tipo di bombardamento (che consente di colpire senza identificare il sospetto) non sarebbe stato più necessario e il rischio di errori – come nel caso di Lo Porto– avrebbe superato i vantaggi. E’ evidente che l’annuncio di Obama non era vincolante, perché la Cia ha potuto agire fuori tempo massimo – forse perché nel frattempo i piani americani in Afghanistan sono cambiati e il ritiro completo non c’è stato.

 

Il “signature strike” è un bombardamento che non prende di mira un soggetto specifico – per ipotesi: il grande capo dei terroristi, scovato grazie a un lungo e meticoloso lavoro di spionaggio – ma prende di mira soggetti non meglio identificati che si comportano con ragionevole evidenza come terroristi. Per esempio, se uomini armati si spostano su un veicolo tra due covi di terroristi nelle aree tribali del Pakistan, allora possono ricadere nella categoria “signature strike” e diventare bersagli per i droni americani. La questione è controversa, perché in quei casi le decisioni sono per forza di cose prese in tempi più brevi e con meno elementi a disposizione e la possibilità di errori è più alta. Tuttavia, la regione frontaliera del Pakistan è la retrovia della guerra talebana contro i soldati americani, e i “signature strike” negli anni scorsi sono stati considerati come un azzardo calcolato a metà tra la lotta al terrorismo e le operazioni militari oltreconfine. Tanto che quella regione in gergo è conosciuta come la “kill-box”, vale a dire la zona delimitata da confini invisibili in cui il governo pachistano tollera gli strike.

 

L’uomo della Cia che ha introdotto i “signature strike” all’interno della “kill-box” è un agente con uno status quasi leggendario all’interno dell’agenzia – secondo un ritratto di commiato pubblicato sul Washington Post a fine marzo. “Mike”, questo il nome in codice, è un convertito all’islam che ha fatto dei bombardamenti con i droni una delle attività prioritarie della Cia nel primo mandato di Obama – fino al picco di 117 nel 2010. A marzo però è stato rimosso dal suo incarico poco cerimoniosamente. L’intera materia è molto opaca anche perché il governo americano ancora non riconosce ufficialmente le operazioni con i droni armati. Fino a prova contraria la rimozione di “Mike” è legata a motivi completamente diversi e non legati al raid che ha ucciso Lo Porto e Weinstein – e l’Amministrazione ha detto di avere ricevuto una conferma della morte dei due ostaggi soltanto da poco, quindi dopo la sua   rimozione. Il ritratto del Washington Post però dice che l’eccessiva consuetudine di “Mike” con i “signature strike” e la volontà di riportare la Cia al mondo dello spionaggio, dopo questa fase di operazioni paramilitari cominciata dopo l’11 settembre, sono tra le ragioni possibili della fine del suo incarico. La Casa Bianca percepisce il programma droni in mano alla Cia come un problema e già nel marzo 2013, due anni fa, erano usciti sui giornali americani alcuni articoli che spiegavano che c’è l’intenzione di affidarlo al Pentagono.

 

[**Video_box_2**]A segnalare una possibile revisione della campagna c’è questo dato: tra gennaio e aprile si è verificato un significativo rallentamento delle missioni dei droni, cinque a gennaio, una a febbraio e una a marzo secondo i dati del sito del Bureau of Investigative Journalism, un ente d’informazione no profit che segue la guerra con i droni in Pakistan. Potrebbe però essere semplicemente che non c’erano obiettivi a tiro.

 

Perché togliere gli strike alla Cia e assegnarli ai militari? Davvero farebbe qualche differenza? Oggi la Difesa americana controlla i droni che bombardano in Afghanistan – perché ci sono militari americani esposti in zona di combattimento – e in Somalia, come fase iniziale del grande passaggio di consegne. La Cia si occupa di Pakistan, Yemen e altri paesi non specificati. Dal punto di vista legale, il Pentagono agisce sotto il Titolo 10 delle leggi federali degli Stati Uniti, che si applica ai teatri tradizionali di guerra, rende molto difficile giustificare strike in zone dove non ci sono soldati americani e chiede anche il consenso del governo locale. Gli strike della Cia cadono invece sotto il Titolo 50, che stabilisce l’autorità per le azioni “sotto copertura”, ovvero quelle che possono essere non riconosciute esplicitamente dal governo degli Stati Uniti. E’ chiaro che questo piano di trasferimento porrebbe i bombardamenti con i droni sotto un controllo maggiore e più pubblico. Era stato annunciato come un punto chiave delle riforme di Obama, poi è stato lasciato cadere.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)