Cameron va dritto all'istinto inglese e promette: niente tasse
Milano. Lasciate che David Cameron finisca il lavoro iniziato, ha scritto ieri Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York a capo dell’impero editoriale che porta il suo nome (si è anche detto che ora aspiri a diventare il sindaco di Londra), in un endorsement argomentato e appassionato. Cameron è stato un leader che non ha messo il consenso davanti a tutto, che ha preso decisioni impopolari, che ha creato “più posti di lavoro di tutta l’Europa messa assieme”, che ha guidato la ripresa più forte dell’occidente, “so bene dove era il paese prima che arrivasse Cameron e dov’è adesso”, ha scritto Bloomberg, che ha tremila dipendenti nel Regno Unito, e un leader che sa prendere queste decisioni deve continuare a farlo. Si è aperta così la settimana degli endorsement, giusto qualche giorno fa il giornalista politico di New Statesman, George Eaton, chiedeva: chi sarà il primo? E adesso sarà tutto un posizionarsi, un arrabbiarsi anche, un valutare come è andata davvero la campagna elettorale britannica più-incerta-di-sempre.
Il tempismo con Cameron è stato perfetto, perché il premier che nelle ultime settimane aveva addolcito la sua politica di austerità, concedendosi qualche generosità inattesa e confondendo così un po’ l’elettorato, è tornato alle origini della sua dottrina economica: per i prossimi cinque anni, quindi fino al 2020, non alzeremo le tasse, questa è una promessa, ha detto Cameron. Ci sarà una norma, adottata entro i primi cento giorni di governo, che impedirà l’innalzamento delle imposte sul reddito e dell’Iva, “questa è in effetti la prima legge della politica: il Labour vi alza le tasse e i Tory ve le tagliano”. Seguite il vostro istinto, ha detto il premier, votate i conservatori perché pagherete meno tasse e avrete un paese solido – si torna ai fondamentali. Gli ultimi dati sulla crescita sono stati sotto le aspettative – 0,3 per cento contro lo 0,6 prevsito nell’ultimo trimestre, il peggiore dalla fine del 2012 – ma secondo i più l’effetto non è stato brutale sulla campagna, anche perché sono numeri che devono ancora essere elaborati e che saranno probabilmente rivisti.
Ma Cameron aveva bisogno di dare un segnale agli elettori, dopo settimane in cui il messaggio dei conservatori si è un po’ annacquato, e i sondaggi continuano a non dare soddisfazioni a nessuno, non ci sarà una maggioranza, si dovrà scendere a patti con qualche altro partito. Così è nato questo cosiddetto “tax lock”, cinque anni di congelamento delle imposte, una delle politiche più liberali del mondo e anche la più contestata (si aspettano già gli ululati oltre oceano tra quegli economisti che smontano con cadenza quasi giornaliera il modello di crescita britannico). Ma anche nel Regno Unito la promessa è stata una sorpresa. “Una mossa inusuale”, l’ha definita il Financial Times, “che restringe di molto i margini di manovra del Tesoro in caso di un nuovo choc economico”. “Un trucchetto last minute”, l’ha liquidato, senza alcuna sorpresa, il cancelliere dello Scacchiere ombra, il laburista Ed Balls, che come i suoi compagni di partito non fa che sottolineare la disperazione della campagna elettorale dei Tory.
[**Video_box_2**]Quanto a disperazione il tasso è piuttosto alto in entrambi i campi, ma Cameron ha da ieri un problema in più. Il 1922 committee, che rappresenta i parlamentari inglesi, ha indetto un vertice per il lunedì successivo al voto, l’11 maggio, durante il quale saranno stabilite le linee guida da rispettare durante i negoziati di qualsiasi coalizione. Non ci saranno grandi alternative, dicono i sondaggi, ma i parlamentari non vogliono che Cameron decida da solo, e la linea dura sull’Europa non è negoziabile.
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