Dal Pen alle università. L'ostracismo contro quei “farabutti” alla Charlie Hebdo
Roma. L’onda di Charlie Hebdo arriva anche in America, dove il settimanale francese sopravvissuto alla strage non aveva venduto che trecento copie e tutti i quotidiani statunitensi si erano rifiutati di ripubblicarne i disegni. Mentre in Texas un commando islamista ha cercato di colpire un concorso di vignette su Maometto organizzato dopo la mattanza del 7 gennaio, al Pen Club di New York sta crescendo il boicottaggio letterario alla serata di premiazione della rivista.
Intanto, da Parigi, un saggista importante, Emmanuel Todd, si domanda: “Qui est Charlie?”. Storico e antropologo di sinistra, autore per Gallimard di “Après la démocratie”, Todd nel libro denuncia l’ipocrisia della gauche sui vignettisti massacrati. La marcia dell’11 gennaio? “Una pura e semplice impostura”. Una scatola vuota. Quei quattro milioni di francesi che scesero in piazza a difendere la libertà di espressione “sono stati sì un grande movimento, ma composto soprattutto dalle classi medie e superiori, per lo più cattoliche”, scrive Todd. Mancavano le classi popolari, i musulmani delle banlieue e l’intellighenzia. Anche Caroline Fourest va in libreria con un saggio per Grasset, “Elogio della blasfemia”, contro i tanti detrattori di Charlie Hebdo.
Tiene banco in Francia il caso poi di un professore di liceo a Poitiers, Jean-François Chazerans, sotto procedimento disciplinare per aver detto in classe: “Questi farabutti di Charlie Hebdo hanno ottenuto quello che si meritavano”. Nel ritrarlo, il Monde ci consegna l’immagine di un intellettuale “libero e anticonformista”, un pacifista che ha sposato cause umanitarie. Chazerans si difende dicendo che nel definire i giornalisti di Charlie Hebdo “farabutti” ha usato il loro stesso linguaggio provocatorio. Anche Libération celebra il suo “droit à la philo”. Va da sé che la maggior parte degli insegnanti delle scuole superiori abbia scioperato quando Chazerans è stato sospeso e non quando un altro collega, “l’islamofobo” Robert Redeker, entrò in clandestinità.
E’ salito intanto a 204 il numero di scrittori membri del Pen che considerano dei farabutti i giornalisti di Charlie Hebdo e che non parteciperanno per protesta alla consegna del premio. Un boicottaggio che era iniziato con sei nomi e che si è allargato a star della letteratura come Joyce Carol Oates e l’autore di “Follia” Patrick McGrath, il Pulitzer del romanzo “Le ore” Michael Cunningham, Geoff Dyer, David Leavitt e Junot Diaz, che il New Yorker ha definito “uno dei venti scrittori più grandi del XXI secolo”. La Oates ha paragonato la rivista satirica al “Mein Kampf”, senza generale scandalo da parte degli stessi benpensanti che avevano alzato più di un sopracciglio quando era stato Geert Wilders, presente in Texas alla serata anti islamica, ad accostare il libro sacro dell’islam a quello di Hitler. Lunedì, intanto, il Los Angeles Times si domandava: “I vignettisti di Charlie Hebdo: sono eroi o razzisti?”. E’ facile immaginare dove penda l’opinione del mainstream.
[**Video_box_2**]Mentre l’intellighenzia sta facendo il vuoto attorno a Charlie Hebdo, le università occidentali si portano avanti con il lavoro e si adeguano alle condizioni imposte dai taglialingue. Due atenei irlandesi, la Queen University di Belfast e quella di Dublino, hanno deprogrammato alcune conferenze universitarie sulla strage di Charlie Hebdo. E in America, l’Università del Minnesota ordina di strappare via i poster che ricreano la copertina di Charlie Hebdo con il Profeta dell’islam.
L’unica buona notizia, in questo clima di derisione e risentimento, è la decisione del grande disegnatore Art Spiegelman e altri cinque membri del Pen di partecipare alla premiazione dei colleghi francesi al posto dei boicottatori.
Alla fine si è scoperto che di sicuro non erano tutti Charlie Hebdo. Ma forse anche che non erano neppure tutti dei codardi.
L'editoriale dell'elefantino