Joe Dunford, il generale scettico sulle idee ritiriste di Obama
New York. Ieri Barack Obama ha nominato il generale Joseph Dunford capo delle Forze armate americane al posto di Martin Dempsey, che va in pensione dopo quattro anni al vertice della gerarchia militare. Dunford è il comandante dei marines, ma soprattuto è stato il capo della coalizione Nato in Afghanistan dopo che il generale John Allen è rimasto tangenzialmente invischiato nell’affaire Petraeus. Nell’invasione del 2003 in Iraq, dove ha guidato i marines verso Baghdad, si è guadagnato il nome di battaglia di “fighting Joe” ed è diventato uno dei pupilli di James Mattis, generale conosciuto con il nomignolo di “cane pazzo” che portava sempre con sé in battaglia una copia delle meditazioni di Marco Aurelio. Insomma, Dunford appartiene a quella casata di militari-intellettuali che ha architettato e messo in pratica la guerra al terrore, quella combattuta sul campo seguendo i dettami della dottrina Bush e della counterinsurgency, una generazione che guarda con sospetto la fretta con cui l’Amministrazione Obama ha cercato di chiudere quel capitolo di storia o di portare la guerra in un cielo sicuro dove volano i droni e si librano i consensi. Anche Obama ha capito che chiudere una guerra non è così facile, figurarsi vincerla.
Il ritiro delle truppe americane dall’Iraq ha lasciato un vuoto riempito dalle milizie di al Baghdadi, mentre la fine della guerra in Afghanistan è un concetto labile. La settimana scorsa un’inchiesta del New York Times mostrava che le forze residuali rimaste sul campo per “addestrare e consigliare” non sono poi così residuali, e interpretano con grande flessibilità i loro compiti. A vedere le operazioni sembrano militari in assetto da combattimento più che addestratori in fase di transizione. Un funzionario anonimo dell’Amministrazione dice: “Quello che lo rende interessante è che è un ‘ground leader’, e abbiamo ancora guerre di terra attive”. La filosofia del “ground leader” è l’opposto di quella di Obama, il presidente che permette agli avversari di superare impunemente qualunque “linee rossa” pur di non dover piazzare i famosi “boots on the ground”. Eppure Obama ha scelto come capo delle Forze armate – ovvero la persona che suggerisce direttamente a lui e al Consiglio di sicurezza nazionale le linee strategiche e tattiche – un leader di terra, un marine che conosce la guerra dal basso e che sotto giuramento ha esplicitato il suo disaccordo con Obama su tempistica e modalità del ritiro dall’Afghanistan.
[**Video_box_2**]Nella sessione di domande dei senatori per la conferma a comandante dei marine ha detto che “nessuno ha mai suggerito di non avere alcuna presenza militare in Afghanistan dopo il 2017”, cosa che Obama invece vorrebbe. L’idea stessa di dare al nemico una tabella del ritiro delle truppe, come a significare che l’impegno americano ha una data di scadenza, gli è estranea: “Tutti noi in uniforme, compresi gli afghani, preferiremmo che fosse tutto più ambiguo”. Dunford parla di “transizione responsabile”, non di ritiro, per distinguere l’Afghanistan dall’Iraq, “dove ci siamo ritirati, con tutte le conseguenze del caso. In Afghanistan abbiamo la possibilità di non commettere lo stesso errore”.