Londra a un giorno dal voto
L'austerità di Cameron conquista l'Independent, persino. Svenimenti
Londra. Bath, gioiello neoclassico dell’opulento Somerset, pomeriggio di festa, grande palestra di una scuola femminile, belle coppie di mezza età, giovanotti con il maglione appoggiato sulle spalle. Tutti a ripetere “economia, economia, economia”, stipati ad attendere David Cameron, primo ministro in forsennata corvée tardo elettorale per cercare di ottenere l’impossibile: 326 seggi tutti per i Tory, la vittoria piena che nessun sondaggio lascia intravedere. In camicia, con un’energia da mattatore televisivo, Cameron salta sul podio centrale e subito lancia: “Tutto ruota intorno a una sola idea, l’economia, quella che paga per tutto il resto. Un grande tema, pochi giorni rimasti, spargete la voce”.
In sala due persone addirittura svengono, la first lady Samantha elargisce sorrisi, il punto è uno solo: “Non tornate indietro con Ed Miliband e gli scozzesi dell’Snp, qui non si tratta di protestare, ma di scegliere un governo per i prossimi cinque anni e di far andare avanti il paese”. Mai campagna elettorale fu di respiro meno ampio rispetto a quella dei Tory, ma i Tory comunque stanno ottenendo una pioggia di endorsement. Da quelli più scontati provenienti dal Financial Times, dall’Economist e dalla comunità finanziaria, passando per Mike Bloomberg, fino a una presa di posizione che ha fatto cascare dalla sedia mezzo paese: l’Independent, quotidiano a sinistra del Guardian, ha pubblicato ieri un editoriale di sostegno alla coalizione Tory-Lib-Dem: Cameron è stato “soprattutto un riformatore economico, con un certo successo” e nonostante “l’eccesso di austerità nella prima fase” è riuscito a “creare due milioni di lavori per lo più decenti” in un contesto globale difficile.
Lasciando molti degli elogi più sentiti a Nick Clegg, il pallido vicepremier che sta recuperando un po’ di terreno in extremis, il quotidiano ha definito il Labour di Ed Miliband “non pronto a governare” e ha messo in guardia contro lo Scottish National Party (Snp) e le sue tendenze distruttive nei confronti dell’unione. L’editoriale ha fatto infuriare molti lettori, anche perché il giornale è di proprietà dell’oligarca russo Alexander Lebedev, uno di quelli che con la mansion tax e l’abolizione delle esenzioni fiscali per i non-dom proposte dal Labour ci perderebbero qualcosa. Ma il punto è un altro: l’austerità ha funzionato e i tempi della lettera lasciata nel 2010 dal capo segreteria del Treasury al suo successore – una sola riga: “Caro capo segreteria, mi dispiace dirle che non ci sono più soldi” – sono lontani. Il pil pro capite è cresciuto del 4,8 per cento rispetto a cinque anni fa, anche se non è ancora tornato ai livelli pre-crisi e questo spiega perché la gente ancora non sente la ripresa né i benefici di una crescita del 2,6 per cento nel 2014. Per falciare il deficit dall’astronomico 12,6 per cento del 2010 al 5 del 2015 sono state fatte scelte impopolari, ma l’occupazione è tornata a essere anche meglio di prima della crisi, con il 73 per cento della popolazione attiva al lavoro.
[**Video_box_2**]“In sostanza, l’economia britannica ha beneficiato di una ripresa debole, ma buona da un punto di vista occupazionale”, scrive Martin Wolf del Ft, che ora vuole però un’economia “più bilanciata e dinamica”. E siccome gli istinti di Cameron e del cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, sull’economia “sono grosso modo giusti”, fatto salvo il rischio di passare due anni a parlare di Europa, il quotidiano della City “vorrebbe vedere una coalizione” guidata dai Tory. Cameron cerca di cavalcare l’onda fino in fondo, parlando a quella che è pur sempre una “nazione di shopkeepers” come diceva la Thatcher. “Indebitarsi non è l’approccio giusto, noi vogliamo mettere da parte i soldi per i giorni di pioggia, abbiamo preso decisioni difficili”, esulta Cameron davanti alla folla amica, “ma bisogna votare me, con qualunque altro voto ci si ritrova Miliband”.
A chiacchierare con il pubblico c’è Adam Dant, dandy di mezza età incaricato di seguire la campagna per produrre un “grande lavoro artistico dieci settimane dopo le elezioni” e per raccontare il paese come Daniel Defoe nel 1724 con il suo “Tour of the British Isles”. Ora, racconta, la campagna è molto “gestita, trattenuta, controllata”. Che sia il modo in cui il Regno Unito sta nascondendosi la verità, ossia di essere diventato un paese politicamente riottoso e capriccioso come tutti gli altri?