La lezione del 1992 e quel che Miliband non ha voluto capire
Dopo una notte di sorprendenti risultati ma di commenti sciatti e prevedibili ora ci si augura un po’ di divertimento. Quando Paddy Ashdown si mangerà il cappello e Alastair Campbell il kilt? Così han promesso increduli quando gli exit polls hanno predetto una gran vittoria conservatrice, lo sfascio del Labour e dei Lib-Dems – i risultati sono ancora più squillanti per i Tory. A tutti è tornato in mente il ricordo delle elezioni del 1992 quando dopo 13 anni di governi conservatori tutto portava a predire una vittoria laburista contro John Major, il quale vinse con larga maggioranza contro Neil Kinnock. Gli stessi conservatori erano così certi di esser stati buttati fuori che, sgombrando gli uffici come sempre si fa e gettando tutto in sacchi neri, vi aggiunsero un po’ di folklore da squatter con vandalismi e graffiti di insulti. Che al rientro dovettero, con gioia viene da pensare, ripulire. Con l’economia in forte ripresa, la disoccupazione a livelli minimi storici, una robusta sterlina e la sensazione di un lavoro in atto nella direzione giusta e non concluso il grosso cambiamento promesso da Milband è parso a tratti poco plausibile. Il leader laburista, come Kinnock nel ’92, non ha imparato la semplice lezione che le elezioni si vincono al centro. Con programmi estremi a destra come a sinistra non si vince. E la farsa della stele con le promesse elettorali incise, pronta per il giardino di Downing Street, gli sono costati non pochi voti. Il che si aggiungeva al’incubo di un governo di minoranza laburista apppoggiato dai nazionalisti scozzesi. O di settimane di trattative senza governo e con i mercati in tilt.
Il messaggio dell’elettorato è chiaro: ci va bene quel che è stato fatto in questi cinque anni, pur con le pastoie, gli sgambetti e i capricci dei compagni di coalizione. Ergo: un voto chiaro e deciso che desse una maggioranza ai conservatori. E che ha punito pesantemente i liberaldemocratici che toccano minimi storici, invisi sia al centro destra sia alla sinistra che negli anni dell’opposizione alla guerra in Iraq ne aveva gonfiato i voti e i parlamentari. Nick Clegg in particolare però, come ha sottolineato rassegnando le dimissioni, ha il merito di aver tenuto in piedi la coalizione per 5 anni contribuendo al successo del comune programma. La volontà dell’elettorato si è realizzata grazie a schemi con i seggi chiave da conquistare anche con voto tattico, usciti sul Sun e ripresi dal Telegraph. Sun che, va notato in Scozia era invece, come già nel referendum di settembre, dal lato degli indipendentisti dell’Snp. Il Times invece ha sostenuto in maggioranza una linea pro coalizione ma con ottimi commenti da ogni parte, laburisti inclusi. Linea riassunta da Daniel Finkelstein così: se questo paese fa veramente schifo come l’opposizione vuol farci credere com’è che ci sono decine e decine di migliaia di persone che rischiano tutto quel che hanno e pure la vita per una possibilità anche minima di venire come profughi proprio qui? (Ci si può aggiungere anche il mezzo milione appurato di giovani italiani che negli ultimi anni sono venuti in Inghilterra e ci stanno bene, prosperando in ogni campo).
Altro punto importante – se ha un solo parlamentare e lo stesso Nigel Farage non è stato eletto, l’Ukip è però il terzo partito per voti – resta l’Europa da cui se non tutti vogliono uscire, tutti vogliono essere svincolati. Specie per quel che riguarda l’aspetto giuridico e finanziario.
[**Video_box_2**]Resta l’incognita della Scozia cui ha accennato il sindaco di Londra, Boris Johnson, prima dei risultati definitivi, vagheggiando un qualche federalismo. Anche in questo la persona più indicata per affrontare la questione è proprio il calmo ed equilbrato David Cameron che oltretutto, come il cognome indica, è, come molti altri politici britannici, di chiara ascendenza scozzese.