Cosa si muove in Israele dietro i numeri risicati del governo Netanyahu
Milano. Benjamin Netanyahu ha vinto alle elezioni di marzo trenta seggi nella Knesset, contro ogni pronostico e contro una campagna, anche internazionale, piuttosto aggressiva nei suoi confronti. Da allora sono passati quarantadue giorni di trattative delicate per creare una coalizione e garantirsi la maggioranza del Parlamento. E mercoledì sera, a due ore dalla scadenza del tempo concesso a un premier per le consultazioni, Netanyhau ha trovato i numeri per una colazione invero risicata: 61 seggi su 120. Una vignetta del sito del quotidiano Haaretz dipingeva ieri mattina un esausto Netanyahu che barcollante arriva alla porta del presidente per presentare la sua squadra con l’abito a brandelli, le ginocchia e i gomiti sbucciati. “Il quarto governo Netanyahu – ha scritto Yossi Verter sul quotidiano – è stato messo assieme nel sangue, nel sudore, nelle lacrime: quelle del premier e del Likud”, il suo partito.
“Netanyahu conosce meglio degli altri le debolezze del sistema politico israeliano – spiega al telefono da Tel Aviv Sefy Hendler, giornalista di Haaretz e professore universitario – ma il sistema israeliano sa usare le debolezze di Netanyahu. Mentre guardavo la partita ieri pensavo a questo: lui ha giocato tutti gli schemi che aveva a disposizione per vincere le elezioni, ma nel secondo tempo è arrivato il peggior risultato possibile, anche perché in campo giocatori della sua stessa squadra hanno agito contro di lui”. Ad aver complicato i calcoli del primo ministro sono stati due alleati con cui i rapporti sono stati spesso tesi: Avigdor Lieberman, ex ministro degli Esteri e leader del partito Yisrael Beitenu, e Naftali Bennett, capo del gruppo Focolare ebraico e vincitore di questa ultima trattativa politica. Soltanto lunedì, con l’accorciarsi dei tempi per formare un governo, Lieberman, già nell’esecutivo uscente e un tempo considerato addirittura un possibile successore di Netanyahu, ha lasciato le consultazioni portandosi via sei seggi e abbandonando il destino della coalizione nella mani di Naftali Bennett. Con soli otto seggi, il partito di destra radicale contrario alla formazione di uno stato palestinese ha potuto fare richieste di peso, costringere Bibi a un compromesso duro da digerire: ministeri dell’Istruzione, dell’Agricoltura, ma soprattutto la poltrona della Giustizia alla giovane Ayelet Shaked. Il ministro della Giustizia in Israele siede nello strategico consiglio ristretto per la sicurezza del premier. La concessione è importante visto che le cronache politiche israeliane non parlano soltanto di tensioni, ma addirittura di odio da parte di Netanyahu e della potente moglie Sara nei confronti di Shaked e Bennet fin dai tempi in cui, dal 2006 al 2008, lui era capo del gabinetto di un Bibi leader dell’opposizione e lei suo assistente.
In Israele c’è chi ha già governato con così pochi seggi di maggioranza: Yitzhak Rabin lo ha fatto con 62. Allora però, spiega ancora Hendler, c’era coesione ideologica. Questo manca oggi in una coalizione composta da cinque partiti tra cui un gruppo centrista, movimenti religiosi, la destra più tradizionale e quella più radicale, soprattutto sulla questioni dei rapporti tra stato e religione. Il premier Netanyahu ha già deciso che manterrà lui stesso il controllo del ministero degli Esteri, hanno fatto sapere dal Likud, nella speranza di poter solidificare la propria coalizione allargandola ad altri partiti, e in molti anche a destra ritengono che stia riservando quella poltrona al rivale laburista Isaac Herzog. “61 è un buon numero – ha detto il premier – 61+ è meglio”. La volontà di Netanyahu “è quella di rimanere primo ministro – dice Hendler – Per farlo e per ‘uccidere’ ancora una volta l’opposizione la migliore mossa politica per lui sarebbe proprio quella di mettere dentro Herzog, facendogli perdere credibilità davanti alla sua base”. A pochi mesi dalle primarie laburiste.