Una delegazione vietnamita in visita sull'isola principale delle Spratly nel 2012

Perché l'America non trova la rotta nel Mar cinese meridionale

Giulia Pompili
Obama sta considerando l’ipotesi di usare le navi della Marina militare per salvaguardare il “diritto alla navigazione” nel Mar cinese meridionale, da qualche anno messo in discussione da un atteggiamento di Pechino definito da alcuni analisti quantomeno “provocatorio”.
L’America sta considerando l’ipotesi di usare le navi della Marina militare per salvaguardare il “diritto alla navigazione” nel Mar cinese meridionale, da qualche anno messo in discussione da un atteggiamento di Pechino definito da alcuni analisti quantomeno “provocatorio”. Lo scrive il Wall Street Journal, spiegando che il segretario alla Difesa di Washinton, Ashton Carter (uno che di Pacifico se ne intende) avrebbe già elaborato alcune opzioni: l’invio di navi a 12 miglia marittime dallo spazio reclamato dalla Cina, e un controllo aereo della zona. Pechino ha risposto “con preoccupazione” all’ipotesi dell’intervento militare americano, e il portavoce del ministro degli Esteri cinese Hua Chunying ha detto che “la Cina ha sempre preservato la libertà di navigazione”.

 

Ma che cosa succede in quell’area del Pacifico? All’inizio di quest’anno alcune immagini satellitari hanno rilevato che la Cina stava costruendo alcune isole artificiali nell’arcipelago delle isole Spratly. E’ quell’area del Mar cinese meridionale costituita da pochi isolotti e atolli, prevalentemente appartenenti alle Filippine e al Vietnam, eppure rivendicati da quasi tutti gli stati dell’arcipelago: Vietnam, Malesia, Filippine, Brunei. Ma soprattutto dalla Cina. Quando sei la potenza della zona, poco importano le situazioni internazionali “de facto”, o gli accordi giuridici precedenti. Dal 2012 Pechino ha rivendicato, a modo suo, la supremazia sull’intero arcipelago, e ha iniziato le trivellazioni in alcune zone per sfruttare le risorse petrolifere dell’area (qui il Time titolava: The South China Sea: From Bad to Worse). Poi – dal 2014  – si è capito che stava costruendo una sua isola artificiale (qui un'infografica molto utile dell'Asia Maritime Transparency Initiative). Gli Stati Uniti hanno detto di non riconoscere le isole artificiali come territorio sovrano cinese, ma la notizia di oggi rivelata dal Wall Street Journal potrebbe essere una mossa per tentare l’estremo contenimento del bullismo cinese.

 

Già sul finire del 2013 Pechino si era concentrata sull’altra area marittima del Pacifico, quella del Mar cinese orientale. Dal giorno alla notte, la Cina aveva istituito una zona di controllo aereo (Adiz) che comprendeva una zona enorme, anche le isole contese con il Giappone (le Senkaku) e quelle contese con la Corea del sud. L’America rispose con il sorvolo di due B-52, ma l’Adiz cinese è formalmente ancora in vigore.

 

“La condotta della Cina nel Mar cinese orientale e nel Mar cinese meridionale ha recentemente raggiunto delle proporzioni che vanno definite eccentriche”, dice Matake Kamiya, docente di Relazioni internazionali all’Accademia di Difesa giapponese. Un comportamento, in politica estera, che ha risvegliato sentimenti nazionalisti dei vicini in chiave anti cinese. In Giappone, così come in Vietnam. La posizione dell’America, inoltre, è spesso abbastanza contraddittoria. Nel 2012 il segretario di stato Hillary Clinton aveva detto che Washington non si sarebbe intromessa nelle questioni territoriali. Il report “Revising U.S. Grand Strategy Toward China” di Robert D. Blackwill e Ashley J. Tellis, pubblicato recentemente dal Council on Foreign Relation, chiede (quasi) il contrario: “Solo l’America può impedire con successo le ambizioni strategiche di Pechino”. Da alcuni mesi gli osservatori s’interrogano sulle tensioni nel Mar cinese meridionale. E’ la geopolitica che si fa più reale del previsto, eccitata da interessi economici legati ai giacimenti energetici dell’area. La situazione è stata descritta magistralmente da Robert D. Kaplan nel suo libro “Asia’s Cauldron”.

E’ utile anche capire gli interessi economici presenti nella zona, e quanti paesi sono in coda per estrarre il petrolio dal Mar cinese meridionale (qui una mappa della U.S. Energy information administration) . Ah, e c’è anche l’Eni, in Vietnam.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.