Condanna a morte per Tsarnaev, l'attentatore di Boston
I cronisti in aula dicono che Dzokhar Tsarnaev non ha battuto ciglio quando il giudice gli ha comminato la pena di morte. Tranne per un crollo emotivo quando è stato chiamato a testimoniare, l’attentatore di Boston, responsabile di tre morti e decine di feriti alla maratona di due anni fa, è stato sempre impassibile durante il processo, e così è stato anche durante la lettura della sentenza, che annuncia la pena capitale, la punizione più dura che i suoi avvocati hanno cercato di evitare scaricando la parte più gravosa della responsabilità sul fratello maggiore, Tamerlan. Lui, che è morto e non poteva difendersi, è stato descritto come la vera mente della strage, portata con due bombe fatte con pentole a pressione, seguendo il manuale del jihadista improvvisato, mentre Dzhokhar era quello manipolato, non un innocente ma in qualche misura vittima del fanatico incantesimo dell’islam radicale.
L’altra linea difensiva consisteva nel mostrare chiari segni di pentimento e rimorso da parte dell’attentatore, e a corroborare la tesi ci si era messa anche Helen Prejean, la suora di “Dead Man Walking” che aveva incontrato Tsarnaev cinque volte in prigione. Dal banco degli imputati ha giurato che il era “sinceramente pentito” per quello che aveva fatto. Si è dichiarato colpevole, il ragazzo di 21 anni di origine cecena, e gli avvocati credevano di potergli evitare il braccio della morte perché per la massima pena serve il voto unanime dei dodici giurati. Avevano faticato non poco per trovare dodici soggetti imparziali e senza obiezioni di coscienza sulla pena capitale nel Massachusetts, che è lo stato dei roghi di Salem ma anche la grande dependance americana degli irlandesi cattolici; alla fine del processo hanno espresso parere unanime sulla pena di morte, una “punizione adeguata”, come l’ha descritta il ministro della Giustizia, Loretta Lynch, in una nota.