Il sindaco di Osaka, Toru Hashimoto, con il suo omologo di Tokyo Shintaro Ishihara

Il rottamatore di Osaka

Giulia Pompili
I giornalisti giapponesi sanno bene che per avere un virgolettato significativo da Toru Hashimoto, sindaco di Osaka, bisogna aspettarlo alla fine dell’intervento pubblico. Perché Toru Hashimoto, sindaco di Osaka, la terza città più importante del Giappone, prima di fare il governatore e poi il sindaco era un volto noto della televisione. A osservarlo durante gli incontri istituzionali può sembrare niente più che un politico giapponese, con l’espressione compita il vestito scuro e il suono regolare della voce.

    I giornalisti giapponesi sanno bene che per avere un virgolettato significativo da Toru Hashimoto, sindaco di Osaka, bisogna aspettarlo alla fine dell’intervento pubblico. Perché Toru Hashimoto, sindaco di Osaka, la terza città più importante del Giappone, prima di fare il governatore e poi il sindaco era un volto noto della televisione. A osservarlo durante gli incontri istituzionali può sembrare niente più che un politico giapponese, con l’espressione compita il vestito scuro e il suono regolare della voce. Ma quando incontra la stampa informalmente – inusuale, in un sistema che ha delle rigide regole d’etichetta anche nell’anarchico universo dell’informazione – Toru Hashimoto è una rockstar, completamente a suo agio vestito di una polo nera sportiva. Quando scende dal pulpito torna a essere l’avvocato delle cause in televisione, quello che dispensa consigli legali ai telespettatori di un programma molto simile al nostro “Forum”, “Gyÿretsu non dekiru Hÿritsu Sÿdanjo”. Dà spettacolo, fa battute, ride di gusto. Usa compulsivamente Twitter (il suo account è @t_ishin). E spara a zero su tutto: sul Partito democratico, che ormai si confonde per contenuti e protagonisti con il Partito liberaldemocratico, sulle politiche fiscali dei precedenti governi, che hanno reso il costo delle pensioni insostenibile, sulla politica nucleare – per la serie “in linea di principio siamo antinuclearisti, ma anche no”. Se si chiede a un giapponese cosa ne pensi del sindaco di Osaka, gli aggettivi che lo descrivono raccolgono tutta la zona grigia che va dall’“insolito” al “dittatore” passando per “il nuovo che avanza”.

     

    Il partito della restaurazione
    43 anni compiuti ieri, avvocato di professione dal 1996, Hashimoto si è conquistato un posto d’onore nella campagna elettorale che comincia a profilarsi verso le elezioni nazionali giapponesi dell’agosto 2013. La sua storia politica inizia nel 2008, quando con il 54 per cento delle preferenze diviene governatore della prefettura di Osaka, il più giovane nella storia del Giappone. Nell’ottobre del 2011 però rinuncia “incomprensibilmente” al prestigioso incarico per correre per la poltrona di sindaco. Una scelta in realtà dettata da una fine strategia politica. Nella città di Osaka Hashimoto era sicuro di vincere, e la sua politica rivoluzionaria di federalismo fiscale non poteva essere attuata se non avendo entrambe le poltrone della prefettura. Al Palazzo di Osaka, dopo le sue dimissioni, è stato eletto un uomo dei suoi, Ichiro Matsui (su Twitter come @gogoichiro), che adesso fa i lavori sporchi per Hashimoto – per esempio seguire i rapporti internazionali, dei quali Hashimoto si disinteressa completamente.
    La vera creatura di Hashimoto si chiama Osaka Ishin no Kai, il Partito per la restaurazione di Osaka, fondato nel 2010. La lista civica alla quale è federato il partito si chiama One Osaka (il sito è oneosaka.jp, nemmeno una riga in inglese tanto per confermare il disinteresse di Hashimoto per i gaijin, gli stranieri). Un Tea Party alla giapponese, che prende spunto dalla riforma delle autonomie locali inglesi di Margaret Thatcher degli anni Ottanta. Contro le tasse del governo centrale e per l’amministrazione indipendente delle imposte locali, One Osaka promuove soprattutto la fusione della prefettura di Osaka con le sue due città costitutive, Osaka e la vicina Sakai, che andrebbero a costituire un’unica grande Osaka (One Osaka, appunto). Hashimoto ha dimostrato più volte la volontà di epurare tutti i burocrati che affossano la struttura pubblica della città. Vuole privatizzare il sistema dei trasporti e in varie occasioni pubbliche ha detto di essere disponibile a considerare l’ipotesi di rilanciare l’economia cittadina attraverso il turismo sessuale e il gioco d’azzardo.
    Le sue esternazioni pubbliche sulla necessità di rottamare la classe politica giapponese (“in Giappone ci vorrebbe un dittatore”, ha detto lo scorso anno) hanno fatto guadagnare alla sua linea politica il nome di “Hashism”, giocando con la radice del suo cognome e “fascism”, fascismo. Aggettivo che poi non va molto lontano dalla realtà: Hashimoto si è costruito un esercito di più di duemila seguaci che frequentano la sua scuola privata per diventare parlamentari. Obiettivo: arrivare alla Dieta nazionale. Due giorni fa ha parlato agli ultimi diplomati, novecento ragazzi, e ha detto loro, in maniche di camicia e subito dopo aver zittito i più rumorosi: “Diventate guerrieri. Combattiamo insieme. Cambiamo il Giappone”. Accanto a lui il sindaco di Tokyo, l’ottantenne Shintaro Ishihara, che considera Hashimoto un “vero rivoluzionario” e ha detto che “Osaka e Tokyo devono lavorare insieme”.
    L’Osaka Ishin no Kai non può far altro che emergere come una mosca bianca nel nebuloso Parlamento giapponese. Pur non avendo un’idea economica ben definita: è ancora poco chiara infatti la posizione di Hashimoto sulla legge di aumento dell’Iva sui beni di consumo, promossa dal premier Noda per far fronte alla crisi economica e che sta dominando ultimamente tutta la scena politica. Ma sul diritto pubblico il gruppo di One Osaka non ha dubbi: bisogna rottamare la Camera dei consiglieri, la camera alta della Dieta giapponese (242 membri con un mandato di sei anni eletti con sistema proporzionale) e fare una legge costituzionale che permetta l’elezione diretta del premier. Modificare la Costituzione, quindi, dopo sessantacinque anni. Roba da far venire un infarto all’imperatore Akihito.

     

    Giovane rugbista e avvocato
    Secondo un sondaggio pubblicato all’inizio di giugno dal Mainichi Shimbun, il 28 per cento dei giapponesi voterebbe per Hashimoto nel caso in cui si presentasse alle elezioni. Per il Partito democratico del premier, Yoshihiko Noda, voterebbe esattamente la metà degli elettori di Hashimoto (14 per cento). In lieve ripresa il Partito liberaldemocratico, che raggiungerebbe un 16 per cento di consensi nonostante nel 2009 fosse stato cacciato via a gran voce dall’elettorato.
    E’ un tipo preparato, Hashimoto. Sa esattamente di cosa sono stanchi i giapponesi, in un paese che soffre molto la cultura dell’antipolitica – quella che noi in occidente chiameremmo antipolitica ma che in Asia viene definita più elegantemente dalla stampa “frustrazione elettorale” o “inerzia politica”. Sarà un caso ma il giovane Hashimoto ha studiato all’Università Waseda di Tokyo, la stessa università che ha laureato sette primi ministri giapponesi prima di lui, compreso l’attuale Noda. Ma prima del periodo universitario non ha avuto una vita facile: in quinta elementare lascia Hatagaya, il quartiere residenziale di Shibuya, a Tokyo, dove aveva vissuto con la sua famiglia. Si trasferisce a Higashiyodogawa, nel nord est di Osaka, perché i suoi genitori si separano violentemente. La madre cresce lui, il maggiore, e gli altri tre figli da sola. Il padre sparisce, qualche anno dopo viene trovato morto suicida. Ad ogni modo, alla scuola superiore Kitano di Osaka, il giovane Toru diventa membro della squadra di rugby e uno dei migliori atleti della prefettura di Osaka. Incontra Noriko, quella che sarà sua moglie e la madre dei suoi sette figli. Diplomato, si fa un anno sabbatico a Kobe dove vive in una residenza per studenti, con capelli lunghi e chiodo di pelle, si iscrive a Legge e diventa avvocato.
    La peculiarità di Hashimoto è di essere sì un populista, ma soprattutto un outsider. Non viene da nessuna tradizione politica. La differenza è evidente se si fa un paragone con Junichiro Koizumi. Primo ministro del Giappone dal 2001 al 2006, Koizumi è stato uno dei politici più amati e popolari del Dopoguerra. Ma era un politico di terza generazione e membro del Partito liberaldemocratico. Hashimoto per la prima volta nella storia politica del Giappone è un populista che viene dal nulla, e che punta al Palazzo con una lista civica slegata dai partiti nazionali.

     

    Il vizietto di Ozawa
    Nonostante le campagne mediatiche contro di lui da parte della stampa di sinistra giapponese, di Hashimoto si parla sempre come un possibile successore di Noda. E ha reagito molto meglio di Ichiro Ozawa all’attacco del circo mediatico. Ozawa, lo shogun ombra, membro potentissimo del Partito democratico e dal quale dipende l’approvazione della riforma fiscale di Noda, a fine aprile è stato prosciolto con formula piena dal processo che lo fece allontanare dalla politica. Non fa in tempo a tornare in campo, a riprendersi il suo posto sulla scena politica, che la sua ex moglie Kazuko decide di scrivere una lettera al Bunshun Shukan, un settimanale di gossip soft-porno, minandone la credibilità: “Ho divorziato da mio marito perché nemmeno cinque giorni dopo il terremoto e l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima è scappato da Tokyo per paura delle radiazioni”. Non solo, nella sua lettera di undici pagine Kazuko si è lamentata del suo matrimonio e ha denunciato l’infedeltà del marito. Ozawa, l’uomo di ferro monoespressivo, prosciolto e incorruttibile, l’uomo che risolve i problemi della politica giapponese, agli occhi degli elettori è tornato a essere il marito cacasotto, fedifrago ed egoista.

     

    Via i tatuaggi e si canti l’inno
    Hashimoto invece ha risposto all’attacco della stampa mirabilmente. Qualche tempo fa alcuni settimanali scandalistici avevano rilanciato l’appartenenza alla yakuza, la mafia giapponese, del padre biologico di Toru. Un fatto che lui ha riconosciuto senza mentire. Su Twitter ha detto che quell’uomo sì, apparteneva alla yakuza, ma ha ragionevolmente aggiunto che non era niente di più del suo padre biologico, essendo lui cresciuto esclusivamente con la madre. Inoltre, come un politico navigato, ha risposto con due provvedimenti che hanno lasciato perplessi anche i media stranieri.
    Anzitutto: chiunque prenda anche solo un centesimo di stipendio dallo stato è obbligato a cantare ogni mattina il Kimigayo, l’inno nazionale giapponese. I sindacati degli insegnanti hanno manifestato più di una volta le proprie perplessità sulla reintroduzione di una tradizione considerata “anacronistica”. E a febbraio è scoppiato il caso di otto insegnanti che si sono rifiutati di alzarsi in piedi e cantare durante una cerimonia di diploma. Gli otto sono stati deferiti alla commissione disciplinare. Il comitato degli insegnanti della prefettura di Osaka ha proposto di introdurre una legge per rendere soggetti a licenziamento i dipendenti pubblici che si fossero rifiutati di cantare l’inno per più di tre volte. Commentando l’accaduto, Hashimoto ha detto: “Forse queste persone pensano erroneamente di avere il diritto di continuare a essere dei dipendenti pubblici”.
    L’altro provvedimento che ha suscitato non poche polemiche è stato quello sui tatuaggi. Per Hashimoto chiunque abbia sul proprio corpo dei disegni anche lontanamente riconducibili all’appartenenza alla yakuza non può lavorare in un ufficio pubblico: “Non ho detto che voglio vietare i tatuaggi, semplicemente chi li ha dovrà trovarsi un posto di lavoro privato”, ha detto il sindaco di Osaka. Per capire quanto fosse diffuso il problema, Hashimoto ha fatto un’indagine conoscitiva dalla quale è risultato che su 32.000 lavoratori di Osaka 113 hanno tatuaggi. Tra i 17.000 insegnanti, almeno dieci hanno confessato di avere il corpo disegnato e la prefettura chiederà loro di rimuovere i disegni visibili dagli alunni. I corpi tatuati, tradizionalmente legati all’appartenenza alle organizzazioni criminali, in Giappone sono vietati in molte piscine, terme e palestre.

     

    Il vero alleato è Ishihara
    La collaborazione con l’anziano suo omologo di Tokyo, Shintaro Ishihara, inizia subito dopo il dramma del 3 marzo 2011, quando il terremoto e il maremoto costringono il Giappone a fare i conti con la paura delle calamità naturali e nucleari. Dopo il disastro di Fukushima, Hashimoto si schiera subito contro la riattivazione delle centrali – salvo poi fare marcia indietro “almeno per i periodi estivi” e di carenza di energia. Ai commentatori asiatici, invece, il suo rapporto con Ishihara non è ancora chiaro. Si sa che si sono incontrati spesso dopo il terremoto. Nei corridoi del Palazzo si parla di un piano per trasferire la capitale del Giappone da Tokyo a Osaka in caso di Big One – il Grande Terremoto, quello che ogni giapponese aspetta da tempo e per cui i tecnici hanno già calcolato il numero previsto di vittime a seconda delle variabili (temperatura, stagione, forza del vento, orario). In realtà, sembra più evidente che Hashimoto stia cercando di emulare Ishihara, sindaco di Tokyo da un ventennio, apprezzatissimo nonostante le sue sparate (l’ultima: “I giapponesi non fanno figli? Certo, i giovani hanno il pisello piccolo!”). Politicamente, Ishihara sta tentando di mettere insieme un nuovo partito alternativo di destra, e durante l’incontro pubblico di qualche giorno fa con Hashimoto ha detto di voler fondare una scuola politica come quella di Osaka finanziata dalla sua lista civica, Alba del Giappone. Hashimoto sembra molto tentato di raccogliere l’eredità di Ishihara in una coalizione totalmente alternativa ai due partiti di maggioranza, ma tanti dei suoi hanno espresso perplessità e vogliono andare avanti da soli. Perché Ishihara è troppo vecchio, e gli eroi son tutti giovani e belli.
    Twitter @giuliapompili

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.