Un “paese felice” che vuole rifare la società
Roma. Tutti i lussemburghesi conoscono “qualcuno” che lavora per la Comunità europea, magari lo stesso presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Nonostante le dimensioni lillipuziane, il Lussemburgo è il cuore finanziario, culturale e politico dell’Europa. Un “paese felice”, come si proclama, dove il livello di vita è altissimo, la gente civilissima, gli immigrati benvisti e regna la pace sociale. Ma questo scampolo di diplomazia dell’Ottocento nel cuore dell’Europa, il piccolo granducato, è anche impegnato in una operazione di ingegneria sociale ambiziosa, che il Lussemburgo condivide con gli altri due paesi del Benelux (Belgio e Olanda). Ne è un esempio il premier lussemburghese Xavier Bettel, che nel weekend ha ottenuto il primato mondiale di essere diventato il primo premier gay sposato. Una cerimonia laica festosa per un primo ministro che detiene anche, oltre a quello delle Comunicazioni, anche il ministero del Culto. Lo scorso gennaio, Bettel, che guida una coalizione di verdi, sinistra e liberali, ha convocato le principali confessioni religiose del paese per firmare un nuovo concordato: taglio drastico di sussidi per la chiesa cattolica e fondi elargiti per la prima volta alla comunità islamica. Nella nuova convenzione sottoscritta, adesso la religione sparisce completamente dall’elenco delle materie insegnate nelle scuole e allo stesso tempo tutti devono obbligatoriamente frequentare il “corso di etica”. E’ stato anche previsto che il seminario cattolico di Weimershof diventi un centro studi interfedi. Il ministro dell’Istruzione, Claude Meisch, ha giustificato la totale secolarizzazione delle scuole dicendo che “gli studenti costruiranno i propri valori”. Abolendo le lezioni di religione e introducendo l’insegnamento obbligatorio dei “valori”, il governo lussemburghese vuole indottrinare gli studenti con un proprio insieme di “valori”. Abolire la libertà di scelta e allo stesso tempo dire che questo permetterà agli alunni di fare le proprie scelte suona male.
Di recente, il governo del Lussemburgo ha adottato anche una delle leggi più permissive sull’aborto. Aborto “on demand”, su richiesta, mentre finora c’era l’obbligo di un colloquio col medico. Per portare avanti la legge sull’eutanasia, il Parlamento ha ridotto i poteri del Granduca Enrico contrario alla norma, e che da questo momento non ha la capacità di sanzionare le leggi, ma solo di promulgarle. In Lussemburgo la chiesa cattolica non ha praticamente più voce nelle questioni pubbliche. Il giorno dell’adozione della legge sull’aborto da parte della Camera dei Deputati, un evento organizzato dalla chiesa ha raccolto a malapena una cinquantina di persone.
[**Video_box_2**]Roy Reding, membro del partito conservatore, si spinge oltre: “A partire dalla metà degli anni Ottanta, la società lussemburghese ha perso la voglia di fare domande, soprattutto etiche. Forse questo fenomeno viene da lontano a causa della nostra ricchezza materiale”. Non che sotto il cristiano-sociale Junker la legislazione fosse più parca di azzardi ideologici. Con il suo paesaggio di castelli, foreste e pittoresche, vecchi bastioni, torri merlate e sbriciolate, la forma istituzionale e il nome stesso, danno del Lussemburgo una immagine da paese d’operetta. Il benessere trionfa dietro le facciate austere dei palazzotti borghesi e delle moderne e belle case operaie. Non ci sono analfabeti. Non ci sono disoccupati. Le banche sono piene di capitali. Ma dietro questa facciata di gaia incoscienza c’è al lavoro un incessante nichilismo.
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