Il premier inglese, David Cameron, di cera al Madame Tussauds di Londra (foto LaPresse)

Scusi Mr Cameron, che numero si deve chiamare se si è contro la Brexit?

Paola Peduzzi
Durante il “Queen’s Speech” che, nella tradizione britannica, inaugura la legislatura, la regina Elisabetta leggerà i punti principali del programma di governo del premier David Cameron: buona parte dell’attenzione è riservata ai dettagli sul referendum “in-out”, dentro o fuori, che deciderà il rapporto tra il Regno Unito e l’Unione europea.

Milano. Mercoledì durante il “Queen’s Speech” che, nella tradizione britannica, inaugura la legislatura, la regina Elisabetta leggerà i punti principali del programma di governo del premier David Cameron: buona parte dell’attenzione è riservata ai dettagli sul referendum “in-out”, dentro o fuori, che deciderà il rapporto tra il Regno Unito e l’Unione europea. La consultazione è prevista entro il 2017, ma molti hanno chiesto al governo di fare in fretta, per evitare due anni di incertezze e ripensamenti. Il governo vuole però garantirsi il tempo necessario per rinegoziare i poteri di Londra con Bruxelles e quello per convincere gli inglesi che l’interesse nazionale è salvo, si può votare con convinzione “in”. La questione europea non è mai stata semplice per Cameron, guida un partito tradizionalmente euroscettico e ancor più sensibile dopo aver subìto le pressioni provenienti dagli indipendentisti dell’Ukip: c’è stato un lungo periodo durante il primo mandato in cui il premier ha preferito occuparsi d’altro, perché ogni volta che toccava l’argomento doveva poi concedere qualcosa agli euroscettici in rivolta (c’è circa un centinaio di parlamentari conservatori che spinge per la cosiddetta Brexit, una decina di questi è stata arruolata nel governo, così il premier spera di tenerli a bada). Anche per questo oggi il fronte dell’“in” è poco organizzato e a caccia di un testimonial – c’è chi parla addirittura di una scelta pazza, come riportare il laburista blairiano David Miliband in patria per animare la campagna pro Europa – mentre quello dell’“out” è già avviato e finanziato: in fondo è pronto da sempre.

 

Cameron in questi giorni si sta occupando di rivendere il suo slogan “Europe must change” presso i leader europei, ha escluso dal diritto di voto gli europei che risiedono in Inghilterra, circa 2,7 milioni di persone, mentre a Londra George Osborne, il cancelliere dello Scacchiere, sta mettendo a punto un piano che s’ispira a quello adottato per la campagna contro l’indipendenza della Scozia (intanto tutti si chiedono che cosa farà Lynton Crosby, il guru che ha portato i Tory alla vittoria, considerato tesoro nazionale, e corteggiato in pari modo dai due campi referendari). Deutsche Bank e Hsbc hanno già detto di voler spostare molte delle loro attività da Londra se ci fosse un’uscita dall’Ue, mentre il biondo fondatore della Virgin, Richard Branson, parla della Brexit come di un “disastro assoluto”. La Cbi, la Confederation of British Industry, ha chiesto al mondo del business di schierarsi presto e bene a favore dell’in, ma quando si dice che finanza e industria sono in generale contrari alla Brexit arriva puntualmente Matthew Elliott a dire che non è vero: leader di Business for Britain e della Taxpayers’ Alliance, uno degli animatori della campagna per l’out, Elliott ancora martedì scriveva sul Telegraph che non tutti i businessman sono a favore dell’Ue, l’imprenditoria è divisa quanto lo è il pubblico, come ha fatto sapere la Camera di commercio inglese, quando ha rivelato che soltanto il 55 per cento dei suoi membri vuole rimanere in Europa (comunque riformata, nell’Europa com’è oggi non ci vuole restare nessuno).

 

[**Video_box_2**]Il fronte dell’in, che teme anche di essere vissuto come il difensore dell’establishment (così come lo era la campagna del “no” in Scozia), è restato indietro anche per quel che riguarda i finanziamenti. Lord David Sainsbury, ex ministro laburista, è uno dei finanziatori del fronte dell’in, ma, stando a un racconto pubblicato da Politico.eu, il suo sostegno non basta, e anche se molti si stanno interessando alla campagna pro Europa, “nessun assegno è ancora stato firmato”. In un paese in cui l’attivismo europeista non è mai esistito (esiste solo il suo contrario) chi volesse dare il proprio contributo alla causa “non sa che numero chiamare” – strana ironia questa, una delle frasi più citate per caratterizzare la dispersione della politica europea è ora applicata al Regno Unito.
   

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi