Dietro Cameron e la Regina, un gran fermento intellettuale tra i conservatori
Tra opzioni libertarie e fascinazioni comunitarie, perché la vittoria dei Tories in Inghilterra non frena il dibattito nei think tank e sui giornali. L'evoluzione del manifesto "The Good Right".
Tim Montgomerie, editorialista del Times e direttore di Conservatives Home, aveva lanciato il suo manifesto per la buona destra, intitolato “The Good Right”, tre mesi prima delle elezioni generali inaspettatamente vinte dal partito Conservatore del Primo Ministro uscente David Cameron (il Foglio ne aveva scritto qui). L’idea di Montogmerie è quella di un conservatorismo spurio che sappia fondere liberismo economico e attenzione alle istanze sociali. Il programma proposto da “The Good Right” nella versione pre-elettorale era tutto centrato intorno ad un tema: la lotta alla povertà e alle disuguaglianze. Complice un governo “made in Oxbridge and City of London”, l’editorialista autore del manifesto sosteneva che i Conservatives apparissero troppo concentrati sui dati macroeconomici, sulle performance borsistiche, sugli spiriti del capitalismo apparendo così troppo vicini all’alta finanza e troppo lontani dagli scalini socio-economici più bassi.
Così Montogomerie si è fatto portatore di una serie di politiche volte a “umanizzare” la proposta conservatrice proponendo sgravi fiscali per le fasce di reddito più basso, l’aumento della tassazione dei beni di lusso, il rafforzamento di investimenti in infrastrutture, un maggiore impegno governativo per la risoluzione delle situazioni di disagio sociale, la facilitazione d’accesso al credito e alla proprietà immobiliare per piccole imprese e famiglie meno abbienti. Un pacchetto in gran parte recepito dal Conservative Manifesto delle elezioni 2015. Inoltre, veniva rispolverato il concetto della “nazione di proprietari” di thatcheriana memoria trovando il punto di fusione con quella “eguaglianza di opportunità” su cui fondano i principi del liberalismo classico. Dunque meno grande capitale, meno compromessi con i poteri finanziari, meno fondi a pioggia dai burocrati di Bruxelles e più attenzione al disagio sociale, alla povertà, agli ultimi, perché “nessuno va lasciato indietro”. Così “The Good Right” ha segnato il ritorno sulla scena politica e culturale del conservatorismo compassionevole.
Non soddisfatto della vittoria elettorale di Cameron, il direttore di Conservative Home, insieme ad altri intellettuali del mondo conservatore e al neo Ministro della Giustizia Michael Gove, ha dato seguito al progetto di “The Good Right” riempiendo di contenuti un avveniristico nuovo sito con l’obiettivo di presentare al grande pubblico nel prossimo autunno un libro, con autori lo stesso Tim Montgomerie e Stephen Shakespeare, che sappia dettare l’agenda del secondo governo Cameron e ridisegnare i confini del conservatorismo britannico. Il Conservatorismo, secondo gli autori di "The Good Right", vive una crisi d’identità a cui è necessario porre rimedio. Basta rappresentarsi come l’ideologia e il partito del capitalismo di relazione, dell’individualismo sfrenato, dell’avidità, della ribellione libertaria nei confronti dello stato. Montgomerie cerca una nuova via che abbia come cardini l’impresa, il lavoro e la produzione favoriti da un regime fiscale semplice e leggero, la famiglia come nucleo della società, il mercato libero tanto dagli orpelli burocratici quanto dagli interessi costituiti del grande capitale, l’ordine e la sicurezza garantiti dallo stato, un’istruzione più libera, un patriottismo che promuova la difesa dei valori occidentali e il controllo dei confini. “Work, Family, Education” è il motto che campeggia nel logo del progetto “The Good Right” e che segna il sentiero di un conservatorismo nuovo e allo stesso tempo atavico perché capace di legarsi alla tradizione del “liberalismo radicato nella storia” che vede in Edmund Burke il proprio fondatore e in Roger Scruton l’ambasciatore contemporaneo.
[**Video_box_2**]Montgomerie è convinto che le urne abbiano dato ragione al manifesto di "The Good Right" in quanto gli elettori hanno votato David Cameron perché il Primo Ministro è riuscito a spiegare che la creazione di posti di lavoro, la tutela del risparmio delle famiglie e la possibilità di accedere ad una buona istruzione sono più importanti della costruzione di qualsiasi mastodontico welfare state. Tolta la patina della City e del “partito dei ricchi” grazie alla vittoria elettorale, i Tories e i suoi ideologi possono parlare apertamente di giustizia sociale sconfessando il padre del neoliberalismo contemporaneo F.A. von Hayek, ma allo stesso tempo spingendo l’acceleratore su policies che riducano il perimetro dello Stato senza penalizzare chi parte da una posizione svantaggiata. L’idea di fondo di "The Good Right" è quella dello “standing in the middle”, cioè porsi come anello di congiunzione tra liberalismo e comunitarismo dove lo stato è necessario perché riportato alle proprie funzioni originarie: arbitro di controversie, protettore dei confini e difensore dei cittadini. Una posizione eterodossa e ambiziosa, quella del gruppo di "The Good Right", che continuerà a far discutere tanto think tank e salotti culturali quanto quella parte di Tories, annidata soprattutto tra i backbenchers, che vorrebbero uno scivolamento libertario del partito Conservatore, ma che mira soprattutto a sedurre l’agenda Cameron che verrà presentata oggi alla Regina e poi messa in atto nei prossimi cinque anni.
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