Un'Europa più forte, con Cameron
Bruxelles. Tra il completamento della riforma della zona euro e il pericolo della “Brexit”, nelle prossime settimane l’Unione europea si troverà di fronte a nuove scelte esistenziali, con la rara opportunità di mettere a tacere i nazional-populismi di destra e di sinistra che minacciano gli equilibri politici e il progetto di integrazione del continente. Il grande cantiere della riforma dell’Europa dovrebbe essere riaperto al Consiglio europeo del 25 e 26 giugno, quando il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, presenterà un documento con le linee direttrici su come migliorare il funzionamento dell’unione economica e monetaria. Il prossimo Vertice sarà anche l’occasione per il premier britannico, David Cameron, di discutere con gli altri ventisette leader delle sue richieste per rinegoziare i rapporti tra il Regno Unito e l’Unione europea, prima del referendum “dentro o fuori” che sarà convocato tra l’autunno 2016 e la fine del 2017. A prima vista, le due questioni appaiono distinte e inconciliabili. Eppure il messaggio che arriva da Londra, Berlino e Roma è lo stesso: nell’èra dell’Ukip, del Front national, di Syriza e di Podemos, se l’Europa vuole sopravvivere e rafforzarsi, alla fine deve cambiare. Senza riforma dell’Ue – o almeno dei rapporti tra Londra e Bruxelles – il rischio della Brexit diventerà reale. Senza riforma della zona euro, il pericolo di una serie di crisi come la Grexit – con altre Syriza al potere o a causa di un nuovo contagio – aumenta. Ma paradossalmente uno dei principali ostacoli a una rifondazione dell’Ue si trova in uno dei suoi paesi fondatori: la Francia di François Hollande non è pronta alle riforme istituzionali e economiche che chiedono David Cameron, Angela Merkel e Matteo Renzi.
L’avvertimento più esplicito sui rischi politici che corre l’Ue è contenuto nel documento sul completamento dell’unione economica e monetaria inviato da Renzi a Juncker, e che il Foglio ha svelato domenica, mentre gli Indignados alleati di Podemos conquistavano Madrid e Barcellona e l’euroscettico Andrzej Duda veniva eletto presidente in Polonia. “La disaffezione nel progetto europeo è diffusa tra i cittadini e sta portando alla crescita delle forze politiche populiste”, dice il contributo italiano. Tra i leader della zona euro, Renzi è il più avanguardista in termini di balzo di integrazione, con il riferimento alle “cooperazioni rafforzate” e il riconoscimento che “nel lungo periodo modifiche al Trattato saranno necessarie”. Anche Merkel e Hollande riconoscono che la paralisi non è un’opzione. Per permettere alla zona euro di prosperare “in un mondo sempre più concorrenziale” – hanno scritto i due leader nel documento sul rafforzamento dell’unione economica e monetaria – servono “tappe supplementari”. Ma il linguaggio mellifluo del contributo franco-tedesco serve a mascherare le divergenze tra Berlino e Parigi. Se la diagnosi pare la stessa, Merkel e Hollande divergono sulla cura: la Germania è pronta ad andare incontro ad alcune richieste di Cameron perché solo le riforme possono salvare l’Ue dai populismi, ma la Francia non è disposta a cedere sovranità, impedendo così agli altri di avanzare.
[**Video_box_2**]Il contributo di Francia e Germania sul rafforzamento della zona euro esclude di mettere mano al sacro testo che regola la vita dei Ventotto, come invece vorrebbe fare Cameron per convincere i suoi cittadini a votare contro la “Brexit”. “Se si tratta di fare dei passi indietro su princìpi fondamentali, questo non avverrà mai e Cameron lo sa benissimo”, spiega al Foglio Roberto Gualtieri, presidente della Commissione economica all’Europarlamento: “Se invece si tratta di procedere sulla strada dell’integrazione differenziata, sicuramente è possibile”. In realtà, è soprattutto Parigi a frenare sul piano istituzionale. Anche nel periodo più acuto della crisi della zona euro, quando la cancelliera Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, spingevano per un’unione politica più stretta, era stata l’ostilità di Parigi a impedire passi avanti sostanziali. Ancora oggi la Francia “ritiene che procedere a una modifica del Trattato sarebbe controproducente”, spiega al Foglio un alto responsabile europeo. Non c’è solo il ricordo del “non” dei francesi al progetto di Costituzione europea nel referendum del 2005 o la scadenza delle presidenziali del 2017: il problema di fondo è una cultura “sovranista” che permea la destra e la sinistra tradizionali tanto quanto i movimenti anti europei come il Front national o il Front de gauche. Quando sostengono che la Brexit sarebbe un bene per l’Europa, l’ex premier socialista Michel Rocard e l’ex ministro di Nicolas Sarkozy Laurent Wauquiez dicono ad alta voce ciò che molti pensano a Parigi. L’allergia al libero mercato è un altro fattore che condiziona la posizione francese. Per Parigi, il mercato interno deve essere uno strumento prevalentemente protezionista per “favorire lo sviluppo dell’industria e dei servizi europei”.
Il mercato interno è invece la principale ragione per cui Merkel e Renzi sono i migliori alleati di Cameron. Agli occhi della cancelliera, l’uscita del Regno Unito altererebbe gli equilibri interni all’Ue, facendo pendere l’ago della bilancia a favore degli statalisti anti liberali in stile francese. Oltre alla libera circolazione delle merci e dei servizi, ne va dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e del consenso brussellese sulle riforme liberali in economia per rilanciare la zona euro. Merkel ha già fatto una serie di aperture a Cameron: dalla repressione degli abusi alla sicurezza sociale da parte dei migranti europei che godono della libera circolazione, alla riduzione della burocrazia europea. Il documento inviato da Renzi a Juncker definisce il mercato interno così caro a Londra come “il cuore dell’integrazione europea” e “il motore ultimo della crescita” e denuncia le “resistenze interne, la difesa degli interessi nazionali, le barriere istituzionali e i colli di bottiglia” che ne impediscono la piena realizzazione.
Forte della sua vittoria elettorale, Cameron rivendica “riforme nell’interesse del Regno Unito e dell’Europa”. Nella prima cena con Juncker lunedì sera, il premier “ha sottolineato che il popolo britannico non è contento dello status quo”, ha spiegato il suo portavoce a Downing Street. Dopo il discorso della Regina alla Camera dei Comuni oggi, Cameron inizierà un tour europeo per promuovere la sua causa nelle capitali amiche e avversarie: domani in Danimarca, Olanda e Francia, venerdì in Polonia e Germania. In piena crisi con la Grecia, l’establishment comunitario non vuole correre il rischio di una Brexit che avrebbe ripercussioni ben più gravi. Juncker ha promesso un “accordo equo”. A Bruxelles già si immaginano soluzioni creative per aggirare la linea rossa sulla modifica del Trattato, come l’adozione di una dichiarazione o di un protocollo. Secondo Gualtieri, “ci sono margini di discussione con il Regno Unito per affrontare una serie di punti che loro hanno posto, consentendo al contempo un rafforzamento dell’unione economica e monetaria”.