La guerra repubblicana sul Patriot Act (con replica di Cheney)
New York. Nella notte fra domenica e lunedì il Senato americano ha lasciato scadere tre dispositivi del Patriot Act che regolano la raccolta di dati a strascico da parte della National Security Agency e di altre agenzie d’intelligence. Significa che le autorità possono ottenere informazioni dalle compagnie telefoniche soltanto per casi specifici e circostanziati, senza scandagliare a piacere enormi flussi di informazioni non necessariamente legati a persone sotto inchiesta. L’Fbi, ad esempio, non può autonomamente decidere di intercettare un sospetto che cambia utenza telefonica né mettere sotto sorveglianza un potenziale “lupo solitario” che non ha legami accertati con un gruppo terroristico. Qualche settimana fa un tribunale federale di New York ha dichiarato illegali le pratiche contenute autorizzate nella sezione 215 del Patriot Act. Dal punto di vista investigativo non si tratta di un cambiamento radicale, almeno nell’immediato: la disposizione vale soltanto per le nuove inchieste e il dipartimento di giustizia ha vari appigli legali su cui far leva per aggirare le limitazioni. Politicamente, però, è uno snodo di importanza capitale nell’eterno dibattito fra sicurezza nazionale e libertà individuali, riaperto dalle rivelazioni di Edward Snowden sui programmi di sorveglianza e preso in mano dai campioni della lotta contro le intrusioni dello stato negli affari dei cittadini. Il senatore libertario Rand Paul ha brandito il dibattito per creare una profonda spaccatura interna nel fronte repubblicano, che per nove anni consecutivi ha votato in maniera compatta – salvo rare defezioni – il dispositivo.
La Camera ha votato un disegno di legge chiamato Freedom Act, che limita l’autorità dell’intelligence in fatto di sorveglianza, e il Senato ha autorizzato con una solida maggioranza il dibattito sugli emendamenti. A quel punto Paul ha pronunciato in aula la formula “obietto” che permette ai senatori di bloccare temporaneamente la discussione. Manovra simbolica per ritardare il processo e catalizzare l’attenzione, mentre la sezione 215 arrivava alla scadenza naturale. Il senatore e candidato alla presidenza sa bene che i suoi soliloqui anti sorveglianza a Capitol Hill non potranno fermare un eventuale testo orientato al compromesso (il Senato potrebbe già votare oggi un disegno di legge emendato) ma capitalizza l’inerzia politica che in questo momento è dalla parte dei critici dei programmi di sicurezza approvati dopo l’11 settembre 2001. Paul ha aperto così la guerra con i falchi repubblicani e l’establishment del Gop, capitanato dal leader Mitch McConnell, che per una strana ironia del destino ha già dato il suo endorsement presidenziale al candidato libertario. Il tutto poche ore prima che il senatore Lindsey Graham, uomo simbolo dei falchi della destra, annunciasse la sua corse alla Casa Bianca. La lotta intestina non può che far piacere alla galassia dei sostenitori di Snowden e agli avvocati dei diritti civili. “E’ la prima volta dal 1978 che il Congresso ha ristretto significativamente la giurisdizione sulla sorveglianza o ha fatto cambiamenti strutturali alla cornice legale che regola la raccolta di intelligence”, ha commentato Jameel Jaffer, vicedirettore dell’American Civil Liberties Union. Paul e gli antagonisti della sorveglianza sperano di sfruttare il vento dell’opinione pubblica che soffia nelle loro vele per assestare un colpo definitivo all’architettura legale messa in piedi da Dick Cheney dopo l’attacco alle Torri gemelle. Con un’intervista al Wall Street Journal, l’ex vicepresidente ha annunciato il suo ritorno nel dibattito politico con una serie di iniziative per sostenere la centralità degli Stati Uniti nella politica globale dopo gli anni ritirasti e prudenti di Obama, e ne ha approfittato per dare una stoccata a Paul e ai suoi sostenitori: “Sa che lo ritengo un isolazionista, e la cosa lo offende profondamente. Ma è la verità”.
Dalle piazze ai palazzi