I soldi di Ankara
Milano. Ad Ankara e all’estero il provvedimento è passato quasi inosservato, ma i suoi effetti potrebbero essere assai più gravi di quanto sembrino. Si tratta del nuovo regolamento doganale approvato in Turchia riguardo l’importazione e l’esportazione di denaro contante. Dal 15 aprile scorso è diventato possibile raggiungere e lasciare la Turchia con qualunque somma in contanti senza che le autorità doganali siano sostanzialmente in grado di chiedere conto della provenienza o della destinazione delle banconote. “I passeggeri non possono essere obbligati a rilasciare dichiarazioni alla dogana” recita uno dei passaggi controversi del nuovo regolamento, che consta oggi di quattro pagine, due in meno di quello precedente, considerato compatibile con i regolamenti dell’Unione europea. Il ministro per il Commercio e le Dogane Nurettin Canikli ha dato conto della decisione dell’esecutivo durante un’interrogazione parlamentare chiesta dall’opposizione. Secondo il ministro, la modifica si sarebbe resa necessaria a causa della “scarsa chiarezza” del precedente regolamento, che rendeva difficoltose le transazioni con paesi poco dotati di servizi bancari. Una risposta che però lascia dubbiosi gli operatori del settore. Secondo Pinar Tremblay, editorialista per la Turchia della testata internazionale al Monitor, “la poca chiarezza è stata introdotta con il nuovo regolamento, e nessuno è stato in grado di capire cosa ci fosse di sbagliato in quello vecchio”. Secondo la Tremblay i rischi del nuovo regolamento sono consistenti: “Può significare grandi flussi di denaro verso la Turchia provenienti da paesi poco monitorabili”. E a beneficiarne sarebbero certamente imprese e organizzazioni con movimenti finanziari da nascondere.
Movimenti che “potrebbero essere utilizzati per pagare reclutamento e armamenti di entità clandestine, per il traffico di esseri umani e di organi, e per qualunque attività illegale”, spiega Tremblay, un regolamento che faciliterebbe la vita “non solo ai terroristi, ma anche alle organizzazioni criminali transnazionali”. La Turchia non è nuova a questo tipo di controversie. La Financial Action Task Force, organizzazione che monitora i flussi e i regolamenti finanziari internazionali, ha considerato la Turchia un “sorvegliato speciale” dal 2011 al 2014. Solo dopo che un regolamento vicino agli standard europei era stato approvato, l’agenzia ha infine deciso di togliere la Turchia dalla sua “lista grigia”. Lista in cui rischia di ritornare dopo le attuali modifiche.
[**Video_box_2**]Ma qual è la logica che ha spinto il governo turco a stralciare un regolamento all’avanguardia rischiando di rendere il paese una potenziale oasi per il riciclaggio di denaro sporco? Probabilmente, la risposta è da ricercarsi nei dati preoccupanti dell’economia turca. La crescita crollata sotto il 3 per cento (dal 9 per cento del 2010), la disoccupazione tornata a un preoccupante 11 per cento, e la lira turca che in due anni ha perso il 40 per cento del suo valore sul dollaro. Ma, soprattutto, il profondo deficit di partita corrente, antico male dell’economia turca, tornato a salire nonostante la forte riduzione del prezzo del greggio. Gli investimenti a breve termine che in questi anni avevano pareggiato la bilancia dei pagamenti nel frattempo sono diventati più difficili da reperire dopo la fine del Quantitative easing americano. A febbraio la partita corrente è stata formalmente pareggiata attraverso misteriosi trasferimenti di denaro dall’estero (registrati sotto la voce “net errors and omissions”) la cui provenienza, secondo alcune opinioni raccolte dal Financial Times, sarebbe da ricercarsi nei conti offshore dell’élite finanziaria turca riportati frettolosamente in patria. Solo un mese dopo è stata invece la Banca centrale a dover intervenire per evitare il collasso della bilancia dei pagamenti con la vendita di riserve di valuta. Un modello, quello turco, basato su domanda interna e costruzioni, che mostra tutte le sue fragilità dopo la fine della stagione del credito facile sostenuta dalla Federal Reserve, la quale nei prossimi mesi ha in programma un nuovo rialzo dei tassi che potrebbe inibire ulteriormente gli investimenti verso le economie emergenti. Investimenti di cui la Turchia ha disperatamente bisogno per tenere in equilibrio i propri deficit, e che oggi sembra disposta a cercare anche per vie meno ortodosse.