Il viaggio di Bruckner
Roma. “Abbiamo incontrato una famiglia cristiana la cui bambina è stata rapita da un emiro per sposarla”. Quando Pascal Bruckner è partito alla volta di Erbil, nel Kurdistan iracheno, non avrebbe immaginato che si sarebbe trovato di fronte uno spettacolo simile e che molti amici avrebbero deriso la sua impresa. Il celebre saggista e romanziere francese, diventato negli anni Settanta nouveau philosophe, ha voluto visitare le minoranze massacrate e disperse dallo Stato islamico come “gesto di solidarietà”. “Sono stato parte di una piccola delegazione, tra cui Sylvain Tesson, venuto in Kurdistan per inaugurare Radio Salam”, dice al Foglio Bruckner, autore del recente “Fanatismo dell’apocalisse” (Guanda).
“A Erbil ci sono decine di migliaia di profughi in diversi campi: cristiani, curdi, sunniti, yazidi, sciiti”. Oltre al terrore, il sarcasmo. “Prima che partissi per Erbil, alcuni dei miei amici hanno ridacchiato”. E’ il singhiozzo dell’uomo bianco che continua? “La radicalizzazione dell’islam incontra la radicalizzazione della cecità che non vuole vedere niente, non sa nulla, non sente niente. Il cristianesimo è erroneamente identificato con la prepotenza occidentale, l’imperialismo, e l’islam con la rivolta degli oppressi. Il primo è un complice del male assoluto, il secondo è un eterno innocente. I cristiani non sono buone vittime. Gli ebrei furono espulsi dal mondo arabo e musulmano dopo la creazione di Israele. Oggi è il turno dei cristiani. Ciò che è iniziato con gli ebrei continua con cattolici, protestanti, intellettuali, atei, infedeli, musulmani liberali. E’ un orologio implacabile. E’ come se l’islam radicale volesse cancellare le due religioni monoteiste che lo hanno preceduto”. Quando scoppiò la guerra a Gaza nell’estate del 2014, ci furono manifestazioni a sostegno dei palestinesi. Ma nessuna marcia per i cristiani. “E’ una emiplegia stupefacente. Nessuno in occidente vuole combattere per i cristiani, soffriamo un complesso di imbarazzo. Così metà dei cristiani se ne è già andato dall’Iraq. L’Eliseo fatica a usare la parola ‘cristiano’ nei comunicati. L’Amministrazione Obama ha fatto la stessa cosa per le uccisioni al supermercato kosher. E’ un pudore linguistico che uccide le vittime una seconda volta. La questione semantica è decisiva”. Secondo Bruckner, ci sono molte ragioni per questo silenzio: “La mancanza di vitalità dell’occidente, la nostra civiltà che è finita, come al termine dell’Impero Romano. E poi la sinistra che ha perso tutto: il comunismo, il Terzo Mondo, la classe operaia in Europa, e le resta soltanto l’islam, messianico come il comunismo, e che costituisce un miraggio, la promessa degli oppressi. Per la gauche, l’islam è il futuro”.
[**Video_box_2**]Bruckner è scettico sull’avvenire di questa guerra: “Una guerra di cui l’attacco a Charlie Hebdo è un capitolo, come Copenaghen e Bruxelles. E’ una guerra a bassa intensità che possiamo perdere se non abbiamo le forze. Tutti i mezzi sono buoni: intimidazioni, omicidi, censura e gli utili idioti dell’estrema sinistra”. Una battaglia fra la civiltà della vita e quella della morte. “I jihadisti dicono ‘noi amiamo la morte così come voi amate la vita’, lo stesso grido dei franchisti ‘viva la muerte’. Però allora rispondevano ‘no pasaran’, mentre oggi si resta in silenzio. E’ un fascismo islamico cui dobbiamo opporre una nuova resistenza. Ci vorranno decenni per vedere la fine di questa guerra. Ma prima dobbiamo ammettere che siamo in guerra”.