Sicurezza e libertà
New York. Barack Obama ha firmato con il sorriso il Freedom Act, la legge che limita l’uso di intercettazioni e flussi di informazioni nei programmi di sorveglianza dell’intelligence. E’ la fine della raccolta dei dati in “bulk”, pesca a strascico con cui le autorità possono dedurre tendenze criminali su larga scala, e dopo quattordici anni di rinnovi delle misure di sicurezza prese dopo l’11 settembre 2001 è la prima volta in cui una legge ritocca la lettera e lo spirito del Patriot Act. Altri a Washington hanno sorriso molto meno del presidente. In America ci sono due partiti, divisi trasversalmente rispetto ai confini soliti dell’emiciclo: c’è il partito della sicurezza e quello della privacy. Uno mette al primo posto la necessità di proteggersi, l’altro la scelta di salvaguardare i diritti civili, e ciascuno ha accolto la nuova legge con diversi gradi di entusiasmo o irritazione a seconda della propria collocazione in questo schema ufficioso. In particolare, il dibattito ha aperto una ferita profonda all’interno del Partito repubblicano.
Rand Paul, senatore libertario e candidato alla presidenza, ha ingombrato la scena autoproclamandosi icona della lotta al Patriot Act, e per dovere d’intransigenza non può che dirsi deluso da questa riforma in tono minore. Per Edward Snowden, l’ex contractor della Nsa che ha reso la questione della sorveglianza un oggetto permanente del dibattito, la legge “non è abbastanza”, ma si tratta pur sempre di un primo passo. Dalla lista dei delusi rimangono fuori Barack Obama e i suoi alleati democratici, che possono agitare il Freedom Act come la legge che ha invertito la tendenza della guerra al terrore. Ma i veri vincitori della partita sono le compagnie telefoniche e i giganti della comunicazione. La nuova legge dice che le aziende telefoniche sono obbligate a fornire alle autorità dati su specifiche utenze qualora venga loro richiesto, ma allo stesso tempo non sono obbligate a salvare e stoccare quelle informazioni. Sono libere di non tenere traccia di quel che transita nei loro canali, rispondendo con un “mi dispiace” ai procuratori in cerca di dati.
[**Video_box_2**]Da mesi le aziende, in solido con i colossi della Silicon Valley e le associazioni per la privacy, facevano una furibonda attività di lobbying al Congresso per introdurre questo dispositivo nella legge. Nell’èra Snowden, questi gruppi sono diventati nell’immaginario collettivo infidi complici delle agenzie che frugano nelle vite degli altri. Il primo documento svelato da Snowden era proprio un ordine nel quale s’imponeva a Verizon di fornire i metadati di milioni di utenti. Quando la talpa rifugiata in Russia ha preso a passare carte sui programmi della Nsa, tutta l’attenzione si è rivolta all’agenzia, ma ai fini del dibattito politico si è trascurata la potenza delle aziende tecnologiche che permettono all’intelligence di esercitare un controllo capillare. I lobbisti di questi gruppi scrivono emendamenti e spostano voti che è un piacere, ed è a questa pressione costante che si deve la nascita del Freedom Act, riforma che accontenta molti a metà, le compagnie telefoniche in pieno. Forse non era esattamente nelle intenzioni di Snowden togliere potere all’intelligence per consegnarlo al cartello della telefonia.
Twitter @mattiaferraresi