Perché sulla democrazia a Hong Kong Pechino ha già vinto (per ora)
Alla vigilia del voto del Consiglio legislativo di Hong Kong, che mercoledì inizia la discussione sulla proposta di legge elettorale che l’anno scorso scatenò le proteste degli studenti e il movimento Occupy Central, gli ombrelli gialli sono tornati nella città autonoma cinese, ma insieme a loro anche gli allarmi bomba.
Lunedì la polizia di Hong Kong ha arrestato dieci persone, appartenenti a un gruppuscolo chiamato National independent party e apparentemente collegato al movimento localista della città, sospettati di stare organizzando un attentato dinamitardo. Sono stati sequestrati esplosivi, materiale propagandistico e le immancabili maschere di Guy Fawkes, quelle usate anche da Anonymous e diventate simbolo di tutte le rivolte. Non ci sono ancora accuse ufficiali, e la polizia non ha fornito particolari, ma gli arresti, che subito sono stati condannati dai localisti come un complotto del governo, mostrano quanto dopo il fallimento delle proteste pacifiche il movimento per la democrazia a Hong Kong abbia sviluppato delle frange più estreme che non escludono l’uso della violenza. Non è sicuro che gli arresti di lunedì siano legati ai movimenti per la democrazia, ma negli ultimi mesi i piccoli scontri si sono moltiplicati, per esempio contro i turisti cinesi che invadono Hong Kong per comprare beni di lusso a prezzi scontati.
Il governo di Hong Kong ha aumentato le misure di sicurezza nelle strade alla vigilia del voto, ci sono posti di blocco e barricate nelle strade centrali della città come ai tempi di Occupy, migliaia di poliziotti sono stati dispiegati nelle zone più a rischio. La decisione del Consiglio legislativo dovrebbe arrivare entro il fine settimana, e se la nuova legge elettorale passerà sarà esteso il suffragio universale in città, ma i candidati per la carica di governatore saranno scelti da piccoli corpi intermedi saldamente controllati dalla Cina, che da tempo mira a ridurre le libertà democratiche dell’ex colonia inglese.
Fin dallo scorso fine settimana i movimenti studenteschi e per la democrazia sono scesi in piazza per contestare il voto del Consiglio, ed eventi di protesta sono previsti per tutto il corso della settimana. Non ci sono state però le folle oceaniche di settembre, quando centinaia di migliaia di persone occuparono la città per settimane, e niente è rimasto del clima festoso del primo Occupy. I manifestanti sono relativamente pochi e scettici, e sanno che la lotta per la democrazia ormai non passa più per la legge elettorale. Dopo la sconfitta della protesta di settembre, quando i manifestanti resistettero fino allo stremo, ma alla fine si ritirarono senza aver ottenuto niente dal governo, la fiducia nella protesta pacifica è crollata, in questi giorni i leader di allora, come il giovane Joshua Wong, non sono più accolti come rockstar.
[**Video_box_2**]Questo anche perché comunque vada il voto sulla legge elettorale Pechino ha già vinto la partita. La nuova legge che sarà discussa in questi giorni in pratica dà a Pechino il potere di controllare la scelta dei candidati alla carica di governatore e, come nota per esempio Quartz, l’attuale leader della città, C. Y. Leung, ha già detto che se la legge non sarà approvata dal legislativo il governo non inizierà nuove trattative, non cercherà un compromesso migliore: Hong Kong manterrà la legge elettorale di epoca coloniale, che non prevede il suffragio universale e che i dominatori cinesi, esattamente come gli inglesi prima di loro, hanno imparato a sfruttare a proprio vantaggio per far eleggere leader graditi.