Se la sinistra francese diventa popolare quando fa la destra
Parigi. Nel 2007, quando era ancora un semplice deputato del Parti socialiste, l’attuale premier, Manuel Valls, aveva già avanzato la proposta di cambiare nome al suo partito, molto prima dunque della famosa intervista rilasciata all’Obs lo scorso ottobre – quella della rupture definitiva con l’ala giacobina – nella quale lasciava cadere un “perché no” all’idea di rimuovere l’etichetta “socialiste” e affermava che bisognava “farla finita con la gauche passatista, attaccata a un passato perduto e nostalgico, e ossessionata dal super-io marxista”. A distanza di otto mesi, in molti in realtà si chiedono se quella sinistra “pragmatica, riformista, repubblicana”, la “sola” che Valls diceva di “avere in testa”, possa ancora definirsi sinistra. Il settimanale Obs ha appena consacrato alla questione un corposo dossier, domandandosi se la gauche non abbia definitivamente virato a destra e se l’appellativo Parti socialiste abbia ancora un senso, dopo i 20 miliardi di credito d’imposta per la competitività e l’impiego sbloccati nel 2013, dopo i 41 miliardi di sgravi fiscali alle imprese previsti dal Patto di responsabilità, dopo la loi Macron, l’aumento del budget della Difesa, l’approvazione a maggio del Patriot Act in salsa francese, e soprattutto l’ultimo pacchetto di misure annunciato da Valls: lo “Small business act” per le piccole e medie imprese, che per la prima volta introduce flessibilità nel mondo del lavoro.
Che differenza c’è tra la gauche trascinata dal vento liberalizzatore di Valls e Macron e la droite liberale? Se chiedi ai frondisti e all’ultrasinistra, di dubbi non ce ne sono. Montebourg e sodali pensano fin dall’inizio che Valls sia un pupazzetto del Medef (la Confindustria francese), un uomo di destra atterrato sulla sponda sbagliata, un infiltrato insomma, uno che starebbe bene con Sarkozy e non con Hollande all’Eliseo (e infatti Sarko lo voleva, nel 2007, nel governo dell’“ouverture”). Per non parlare di Macron, l’inquilino di Bercy che del Ps non ha neppure la tessera, il “fottuto banchiere” (così lo chiamano i suoi nemici) che vuole abbattere uno dopo l’altro i totem della gauche e che fa impazzire la corrente radical-pauperista quando dice che per rilanciare la Francia “c’è bisogno di giovani che abbiano voglia di diventare miliardari”. Valls spiega che la differenza tra la sua idea di sinistra e quella dei frondisti sta tutta nei padri politici: non Jaurès, ma Clemenceau, quindi l’ordine repubblicano, l’autorità dello stato, il patriottismo; non Mitterrand, ma Rocard, la “deuxième gauche”, quella riformista, che negli anni 70 e 80 si batteva contro il giacobinismo della “prima sinistra”, quella mitterrandiana appunto.
[**Video_box_2**]Il Monde, la scorsa settimana, ha scritto che “la politica dell’offerta è il fil rouge del quinquennato di Hollande” e che nella situazione attuale è “la sinistra il suo miglior nemico”, dove per sinistra si intende appunto l’ala radicale. Hollande sa che per sopravvivere fino al 2017 Valls e Macron sono indispensabili, che solo una svolta social-liberale può dare al Ps qualche chance per le prossime presidenziali e allo stesso tempo far ripartire crescita e occupazione. Ieri intanto, per risparmiare ai francesi altri dieci giorni di dibattiti all’Assemblea nazionale – come a febbraio, durante la prima lettura del testo legislativo – Valls ha confermato il riutilizzo dell’articolo 49.3 per far passare la legge Macron, un meccanismo d’emergenza previsto dalla Costituzione, giudicato però dalla solita corrente radicale come l’ennesimo “atto di forza” del premier socialista. “E’ un atto di efficacia per l’economia e per le imprese francesi”, ha ribattuto Valls. Questioni di linguaggio. “In materia economica e sociale, la gauche si è convertita alle soluzioni di centrodestra. O meglio, applica ciò che il centrodestra avrebbe voluto fare e non ha fatto”, dice al Foglio Jean-François Kahn, giornalista di lungo corso e fondatore del settimanale Marianne. “Gli elettori di sinistra in senso ampio si sentono traditi da Hollande perché ha fatto l’opposto di ciò che aveva annunciato durante la campagna presidenziale. Valls, invece, non ha mai rinnegato la sua linea social-liberale, l’ha sempre rivendicata, difendendo la sua idea di sinistra, pragmatica e riformista. Gli elettori non lo considerano un traditore e anzi gli riconoscono una coerenza e un coraggio che Hollande non ha avuto”. Quando Hollande è salito al potere, ha cercato di attuare misure che corrispondessero sostanzialmente al suo programma di campagna, tramite un forte aumento della pressione fiscale simboleggiato dalla famigerata supertassa al 75 per cento sui redditi superiori a un milione di euro, “ma questa politica – sottolinea Kahn – si è fracassata contro il muro della realtà”. La realtà dei dati economici e degli ultimi sondaggi che danno Valls, tra le personalità di sinistra, in cima alle preferenze tanto degli elettori del Partito socialista quanto dei francesi.