La chimica non c'entra, Obama ha violato due regole cruciali con Israele
Milano. I due non si piacciono. Così per anni è stato banalmente analizzato l’inasprimento delle relazioni tra gli alleati per eccellenza, America e Israele: un triviale caso di antipatia reciproca tra il presidente statunitense Barack Obama e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. E se qualcosa di vero c’è, se non c’è chimica tra i due leader, è “la diversa visione del mondo” dell’americano rispetto ai suoi predecessori ad aver indebolito criticamente uno storico legame, dice al Foglio Michael Oren, ambasciatore d’Israele a Washington dal 2009 al 2013 e autore di un libro in uscita a giorni con Random House. “Ally: My Journey Across the American-Israeli Divide” esplora la storia di un’amicizia in crisi. “Dalla mia esperienza – dice Oren – i due non hanno certo la relazione che Bill Clinton aveva con Yitzhak Rabin, George W. Bush con Ariel Sharon o Ehud Olmert. Obama ha però una visione del mondo molto diversa rispetto ai suoi predecessori: un sostegno senza precedenti per i palestinesi, un’apertura diversa al mondo islamico, un diverso approccio con l’Iran”. Anzi, ad aumentare la possibilità di scontri sarebbero le somiglianze tra i due politici: “Entrambi sono mancini, entrambi credono nel potere dell’oratoria, entrambi vogliono essere il più intelligente nella stanza – scrive Oren nel libro – Entrambi sono tipi solitari, restii a prendere decisioni e suscettibili ai consigli di una donna forte. Ed entrambi si vedono investiti di un ruolo storico di cambiamento”.
“Nessuno ha il monopolio degli errori” è la risposta che Oren ha dato per anni ai giornalisti che gli chiedevano chi fosse, tra i due, la causa della spaccatura, ha scritto l’ambasciatore in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal, che però elenca gli “errori deliberati” di Obama nei confronti di Israele. L’articolo, prima ancora che il libro, ha creato un mezzo caso diplomatico. “E’ un racconto immaginario”, ribatte l’ambasciatore americano in Israele, Dan Shapiro, ai microfoni della radio israeliana: Oren “era un ambasciatore, ora è un politico e un autore che vuole vendere libri”. Oren siede oggi alla Knesset nel nuovo partito centrista Kulanu, in coalizione con Netanyahu. Il suo leader, l’attuale ministro delle Finanze Moshe Kahlon, si è trovato in mezzo al caos diplomatico di queste ore, e ha preso le distanze da Oren con una lettera all’ambasciatore Shapiro, in cui ricorda che le idee dello scrittore e diplomatico sono personali, rappresentano quelle del suo movimento.
Oren non pensa “che Obama sia anti-israeliano, credo semplicemente che abbia una posizione differente”. E questo suo atteggiamento – assieme a una politica israeliana di espansione degli insediamenti in territorio palestinese “che non è mai piaciuta agli Stati Uniti” – ha portato alla rottura di leggi non scritte e non dette che per anni hanno governato il rapporto tra i due alleati: “No surprise” e “No daylight”, nessuna sorpresa e mai alla luce del sole. La prima volta che l’antica consuetudine è stata infranta, racconta Oren, è stato nel giugno 2009, quando il presidente americano in un viaggio mediorientale in cui saltò la tappa israeliana tenne un discorso storico all’Università del Cairo, “che toccava argomenti legati alla sicurezza d’Israele”, in cui aprì in maniera inedita al mondo islamico, alla questione palestinese. Lo fece senza consultarsi con Israele, “non era mai accaduto prima”: solitamente, quando i leader americani parlano in pubblico sul destino della regione, sottomettono al governo israeliano in anticipo la trascrizione del testo, ne discutono con l’alleato. “Quando Clinton o Bush facevano importanti dichiarazioni sul medio oriente, si consultavano prima con Israele”, sottolinea Oren. Lo stesso copione è stato ripetuto nel maggio 2011, quando in un altro discorso che avrebbe dovuto focalizzarsi soltanto sulle rivolte arabe, Obama sostenne la creazione di uno stato palestinese sui confini del 1967, “cambiando improvvisamente oltre 40 anni di politica americana”. E lo fece “senza preavvisare Israele”.
[**Video_box_2**]Se sulla cooperazione in materia di sicurezza in termini generali Obama si è rivelato un ottimo alleato – ha investito sullo sviluppo del sistema antimissilistico israeliano Iron Dome – sono emerse molte differenze durante il conflitto del 2014 a Gaza: “L’Amministrazione americana non era d’accordo su come abbiamo condotto la guerra e aveva un’opinione che non condividevamo su come terminarla”. Le crepe maggiori sono però quelle sulla gestione del dossier nucleare iraniano, e qui si entra nel territorio della rottura del secondo principio: “No daylight”. Soltanto nel 2014, ha scritto Oren sul Wall Street Journal, Israele ha saputo che il suo più robusto alleato stava da mesi negoziando un accordo con il suo più pericoloso nemico, Teheran. Questa intesa potrebbe essere ratificata entro giugno, e quella firma, assieme a un sostegno a una risoluzione palestinese al Consiglio di sicurezza sulla formazione di uno stato, sono due eventi, spiega Oren, che potrebbero peggiorare ancora di più il rapporto tra America e Israele. Il capo della Cia, John Brennan, alla vigilia di un possibile accordo con Teheran, ha incontrato pochi giorni fa in Israele i vertici dell’intelligence e Netanyahu, per provare a evitare che la crepa diventi insanabile.