“Crimini di guerra” a Gaza
Il “Consiglio dei tiranni” dell'Onu processa Israele. E arriva la Corte dell'Aia
Roma. Cos’hanno in comune Algeria, Bangladesh, Cina, Congo, Costa d’Avorio, Cuba, Etiopia, Gabon, Indonesia, Kazakistan, Kenia, Maldive, Marocco, Nigeria, Pakistan, Qatar, Russia, Arabia Saudita, Sierra Leone, Emirati Arabi, Venezuela e Vietnam? Una poltrona in prima fila al Consiglio dei diritti umani dell’Onu sulle rive del lago di Ginevra. Sono loro, dittature o “stati parzialmente liberi”, forti di una maggioranza di 27 membri su 45, ad aver dato mandato alla commissione di Mary McGowan Davis di accusare Israele di “crimini di guerra”. Il rapporto imputa all’esercito israeliano l’“uso sproporzionato della forza” e suggerisce un’indagine della Corte dell’Aia. Il ministro israeliano Naftali Bennett martedì ha detto che “il rapporto ha il sangue sulle mani, perché acconsente all’uccisione degli ebrei”, stabilendo una simmetria legale e morale fra Israele e i terroristi. Il Consiglio dei diritti umani è diventato un tribunale di dittatori. Nel 2004, 13 stati su 53 erano “non liberi” o “parzialmente liberi” secondo l’organizzazione non governativa Freedom House. Nel 2011 erano a 21. Oggi sono 27. Intanto, il presidente sudanese Omar Bashir, che i crimini di guerra nel Darfur li ha commessi davvero, si fa beffe dell’Aia e gira indisturbato nonostante il mandato di cattura. Un po’ di numeri per spiegare “l’ossessione” di cui parlava martedì il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Come denuncia la ong UN Watch, “il 70 per cento delle critiche specifiche del Consiglio dei diritti umani è contro Israele, un terzo delle condanne sono dirette a Israele e tre delle cinque sessioni speciali del Consiglio sono state dedicate a Israele”.
Il rapporto Davis avvicina i capi israeliani alla Corte dell’Aia. Perché a giudizio non c’è soltanto il fuoco di artiglieria a Shujaiyeh che ha colpito i civili palestinesi, le bombe dei piloti che hanno fatto esplodere le abitazioni a più piani a Gaza o i soldati che hanno sparato a tutto quello che si muoveva durante il “Venerdì nero” di Rafah. Sotto accusa sono le decisioni prese da Netanyahu, dal ministro della Difesa Moshe Ya’alon, dal capo di stato maggiore Benny Gantz e dal capo dell’aviazione Amir Eshel. Israele ha già risposto al rapporto dell’Onu con uno suo di 275 pagine che accusa Hamas di aver deliberatamente collocato le proprie attività militari nelle aree civili. Rivela anche che non una sola decisione militare israeliana venne presa senza la luce verde degli avvocati. “Se un legale riteneva che non fosse un bersaglio legale, il comandante non era in grado di lanciare l’attacco”. E’ il ruolo della “Dabla”, l’unità giuridica dell’esercito che per la prima volta in un conflitto ha avuto un ruolo fondamentale.
Ora diventa decisivo il procuratore dell’Aia, Fatou Bensouda, giudice di fede islamica del Gambia. Ha preso il posto di Louis Ocampo, diventato famoso per le photo opportunity a Davos al fianco di Angelina Jolie e Richard Branson. E come scrive sul Wall Street Journal l’ex attorney general degli Stati Uniti, Michael Mukasey, “il procuratore capo Bensouda è ostile a Israele e agli Stati Uniti”. A dicembre, Bensouda ha rivelato che sta “valutando le prove” sulle tecniche di interrogatorio usate dagli americani in Afghanistan. E nel corso di una conferenza in Marocco, Bensouda ha appena detto che “crimini di guerra” sono stati commessi da Israele sulla Mavi Marmara, un’imbarcazione della cosiddetta “flottiglia”. Bensouda ha aperto un’inchiesta preliminare sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che per il magistrato dell’Aia costituirebbero “crimine di guerra”.
[**Video_box_2**]John Rosenthal, sulla Policy Review, ha scritto che la Corte “rappresenta la negazione dei principi classici del diritto internazionale delle Nazioni Unite. E’ un tribunale canaglia”. Perfetta dunque per incriminare Israele.
Dalle piazze ai palazzi