Il Nazareno turco che può contenere Erdogan e rilanciare il pil
Roma. Che la Turchia si appresti a vedere la nascita del suo primo governo di coalizione dal 2002 è probabile. L’ipotesi di un governo di minoranza dell’Akp è stata messa da parte dallo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan. Restano perciò due scenari, dopo le elezioni del 7 giugno. Il primo, un governo delle opposizioni – un “tutti contro l’Akp” – che metterebbe insieme i socialdemocratici del Chp, i nazionalisti dell’Mhp e i filo-curdi di sinistra dell’Hdp. Tale opzione appare un’ipotesi di scuola, data la totale divergenza tra Mhp e Hdp su come affrontare la questione curda. La seconda opzione è quella che sta raccogliendo maggiori appoggi dalla stampa: una grande coalizione tra il partito di Erdogan e una delle altre tre formazioni che hanno passato la soglia elettorale del 10 per cento. Se una partnership con l’Hdp – che oltre a essere filo-curdo e di sinistra, vuole raccogliere l’eredità del movimento di Gezi Park – appare troppo progressista per il conservatorismo islamico dell’Akp, alcuni hanno individuato nell’Mhp un potenziale alleato.
Ma anche qui restano parecchi fossati, come la contrarietà alle aperture verso i curdi e – soprattutto – la richiesta di ripresa delle indagini contro gli esponenti dell’Akp – inclusi ex ministri e il figlio del presidente, Bilal – accusati di corruzione nel dicembre 2013 e poi assolti dopo un massiccio rimpasto dei tribunali da parte del governo. “Deve rinunciare a Bilal, dopodiché potrà tornare al potere”, ha recentemente affermato il leader dell’Mhp Devlet Bahçeli riferendosi a Erdogan. Così, il partner ideale per un’alleanza con l’Akp sembra essere il Chp, partito erede di un kemalismo duro e puro – laicità, statalismo e socialdemocrazia – che nei 13 anni di potere incontrastato di Erdogan ha visto scuotere dalle fondamenta i pilastri della repubblica fondata da Ataturk. A fare il tifo per una grande coalizione Akp-Chp sono in tanti, soprattutto dai settori produttivi del paese: ma chi si è fatto carico di perorare la causa di questo Nazareno in salsa turca in occidente è Sinan Ulgen, direttore del think tank turco Edam e ricercatore al Carnegie Europe. Intervenendo sul New York Times e sul Financial Times, Ulgen ha evidenziato i vantaggi di questo asse: mettere insieme le due anime della Turchia – l’islamista conservatrice e la repubblicana-progressista – potrebbe portare a una riforma costituzionale che aggiusti il “distorto equilibrio tra individuo e stato” vigente nel paese, “resettando il suo contratto sociale espandendo diritti e libertà fondamentali” e “riflettendo un concetto più inclusivo di unità nazionale”. I vantaggi di un Nazareno turco sarebbero anche economici: secondo Ulgen, “le riforme economiche verrebbero facilitate da un governo di coalizione, che consentirebbe un’agenda riformatrice più consensuale rispetto a un debole governo monopartitico”. L’inclusione del Chp, inoltre, ridurrebbe l’attuale isolamento internazionale della Turchia: “Se un partito di ispirazione islamica dovrà coabitare con uno fortemente secolare, si potrà verificare un impatto positivo nelle relazione estere del paese, facendo tornare Ankara alla sua posizione di default come paese allineato all’Occidente”.
[**Video_box_2**]L’intellettuale turco è comunque consapevole degli ostacoli di un’alleanza tra Akp e Chp, primo tra tutti il sogno del “superpresidenzialismo” di Erdogan. Un eccessivo squilibrio tra presidenza ed esecutivo “non solo imporrebbe elezioni anticipate, ma bloccherebbe anche il cammino verso una Turchia più democratica”. Con l’inaugurazione del nuovo Parlamento due giorni fa, sembrerebbero già farsi strada “prove tecniche” di grande coalizione. Erdogan affiderà l’incarico per sondare un’alleanza di governo a Davutoglu solo dopo il 30 giugno – data in cui il Parlamento dovrà aver eletto il suo presidente – invece che con la prima sessione parlamentare: ciò, secondo alcuni commentatori, per vagliare la possibilità che l’Akp convogli i suoi voti sul candidato del Chp, Deniz Baykal (che tra lo stupore generale aveva incontrato Erdogan subito dopo le elezioni). La possibile elezione di Baykal aprirebbe così le porte al Patto del Nazareno di Ankara. Sulla cui durata, però, è comunque difficile scommettere.