Contro l'Europa degli irresponsabili
Il giorno è quello giusto, e Federica Mogherini usa parole felpate, prudenti e ovviamente diplomatiche. Ma essendo il giorno giusto, essendo cioè il giorno in cui viene misurato al Consiglio europeo ciò che l’Europa intende fare su uno dei dossier più problematici del momento, che riguarda non solo l’Italia ma anche il resto del nostro continente (ovvero che fare con i migranti?), l’Alto rappresentante per la Politica estera europea accetta di chiacchierare con il Foglio e ragiona con noi su cosa manca e cosa invece c’è nel progetto studiato dalla Commissione per ricucire le molte ferite che si sono aperte negli ultimi mesi attorno ai temi “Libia e migranti”. Non parla solo di questo Mogherini con il Foglio, ma da qui si comincia. E proviamo subito a provocare Lady Pesc. Primo punto: in Europa dove la Francia respinge i migranti, dove l’Ungheria costruisce muri, dove l’Austria minaccia di chiudere le frontiere, dove la Gran Bretagna ci rifila molte pernacchie, a cosa serve Federica Mogherini come Alto rappresentante per la Politica estera europea se i risultati stentano ad arrivare? Mogherini accetta la provocazione e la mette giù così. “Calma. Che la situazione non fosse risolvibile facilmente era chiaro sei mesi fa ed è chiaro ancora oggi, ma non accetto che si dica che non ci sono stati risultati. I risultati ci sono, sono importanti, e riguardano due punti fondamentali. Il primo punto è politico, ed è la cornice, il secondo punto è il contenuto, ed è ciò che sta cambiando nel concreto. Dal punto di vista politico considero un successo il fatto che per la prima volta il tema del flusso dei migranti che arriva in Europa non sia più una discussione nazionale, ma europea, e che finalmente la si tratti non solo come un tema dei ministeri dell’Interno ma che sia diventata una delle priorità di tutta l’Europa, delle sue istituzioni e degli stati membri. Dal punto di vista dei contenuti, e qui ovviamente dobbiamo entrare anche nel campo dei ragionamenti che toccano la Libia, molto è cambiato”.
Il vostro piano prevede un coinvolgimento dell’Europa i cui stati non sembrano però avere nessuna intenzione di essere coinvolti e di suddividere e condividere le responsabilità. Scusi, come può essere considerato un successo? “Il lavoro comune, europeo, per salvare vite, smantellare le reti dei trafficanti, e affrontare le cause profonde della migrazione con i paesi di origine è già partito. L’operazione europea contro i trafficanti di esseri umani è stata approvata all’unanimità da tutti gli stati membri, al tempo record di due mesi. L’operazione è stata pianificata, da venerdì (oggi, ndr) sarà operativa e prevede una serie di step importanti. Il primo step prevede la raccolta e messa in comune delle informazioni sulle attività e sulle reti dei trafficanti e la presenza nelle acque internazionali delle forze messe a disposizione dai diciassette stati membri che a vario titolo partecipano all’operazione. C’è chi mette mezzi, c’è chi mette solo uomini: la composizione della ‘nostra flotta’ cambia continuamente, e attualmente abbiamo sette mezzi navali, compresi sottomarini, dodici aerei, e il comando in mare è sulla portaerei Cavour, che per la missione non ha aerei da guerra ma è anche attrezzata come ospedale per soccorrere i migranti. Questo è il primo step poi saremo pronti al secondo passaggio: intercettare le navi dei trafficanti, sequestrarle, metterle fuori uso”.
Con un piccolo dettaglio non proprio piccolo in realtà: fino a che non ci sarà una risoluzione delle Nazioni Unite (Onu) l’operazione potrà avvenire solo in acque internazionali, e di fatto, fino a quel momento, si tratta di un’operazione che sarà sempre precaria. “Per entrare nelle acque territoriali o per agire sulle imbarcazioni con bandiera di uno Stato, abbiamo bisogno di due passaggi: prima l’espressione di volontà a collaborare da parte delle autorità libiche e l’adozione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Sul secondo passaggio posso dire che abbiamo fatto un buon lavoro e c’è la disponibilità di tutti ad approvare la risoluzione, compresa la Russia e la Cina. Sul primo punto bisogna evidentemente ancora lavorare sulla nascita di un governo di unità nazionale. Anche se i segnali arrivati in queste ore sono incoraggianti”.
I segnali di cui parla Mogherini riguardano una novità emersa nelle ultime ore: il Parlamento di Tobruk ha approvato nella notte tra mercoledì e giovedì la quarta bozza di accordo con il governo di Tripoli per la nascita di un esecutivo di unità nazionale presentata dall’inviato dell’Onu Bernardino Leon, e Mogherini dice che per la prima volta c’è la possibilità concreta di fare un passo in avanti e costruire una collaborazione concreta. “Se l’accordo ci dovesse essere sarebbe una svolta cruciale e gli emendamenti presentati dalle parti non mi sembrano insuperabili. Poter arrivare nelle acque non internazionali sarebbe un punto di svolta per avvicinarci il più possibile alle frontiere di terra, instaurare una collaborazione con le forze libiche sulle coste e lavorare insieme per controllare e sequestrare un maggior numero di imbarcazioni e contrastare in maniera più efficace le organizzazioni criminali che trafficano esseri umani”.
“Il terrorismo si combatte accogliendo”
Chiediamo: cosa cambia concretamente tra un’azione in acque internazionali e una nelle acque libiche se non si vogliono poi mettere gli stivali sul terreno e agire militarmente nella stessa Libia? “E’ evidente che poterci avvicinare alle coste creerebbe un danno forte a quel business, lo renderebbe meno redditizio, lo scoraggerebbe, e sarebbe tutto più controllabile. Tengo a specificare però che questa operazione non apre le porte a un’operazione militare in Libia. E’ un’operazione di cooperazione, e spero sia chiaro”. E se i governi libici non dovessero trovare un accordo? “E’ evidente che la possibilità esiste, e che in quel caso sarebbe tutto più complicato. Ma se mi consentite, parlare solo di Libia è un modo limitato di affrontare la questione”. In che senso? “Nel senso che non basta agire sulla porta di ingresso in Europa, la Libia, bisogna andare alle radici. Oggi sappiamo che il novanta per cento dei migranti che arriva in Europa dalla Libia proviene dal Niger e per questo stiamo lavorando in parallelo con le autorità del paese e con l’Unhcr e l’Oim per gestire il flusso di rifugiati e migranti prima che entrino in territorio libico”. Questo, dunque, è ciò che riguarda le politiche estere dell’Europa. Tutto chiaro, così come è chiaro però che dentro i confini dei paesi membri nessuno stato vuole fare più di quello che fa già oggi. “Non è così. Qui i problemi riguardano due campi: il principio di solidarietà e il principio di responsabilità. La responsabilità ci porta a dire che deve essere responsabilità dei paesi che accolgono i migranti identificarli nel miglior modo possibile, e nel modo più veloce possibile. La solidarietà ci dice che l’Europa funziona se si impegna in modo vincolante e non volontario sull’accoglienza e per questo la soluzione che abbiamo proposto è così strutturata e prevede la ricollocazione di 40 mila migranti accolti in questi mesi da Italia e Grecia. Il secondo passaggio sarà quello di decidere entro luglio quali saranno i numeri precisi che ogni altro stato membro accoglierà. Dove per altri paesi membri intendo dire tutti, nessuno escluso, tranne naturalmente quei tre paesi che per trattato non partecipano a queste decisioni (Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca)”.
Chiediamo a Mogherini se sia d’accordo con la proposta lanciata qualche giorno fa dal Foglio di trasformare l’isola di Pianosa in un centro di accoglienza internazionale per identificare i migranti e distribuirli tra i vari paesi membri dell’Unione europea e di farci pagare dall’Europa per questo. Mogherini dice che con il piano europeo non sarà necessario avere una Pianosa ma anticipa che l’Europa, se tutto va come dovrebbe andare, “aumenterà, su questo punto, sul punto dell’accoglienza, l’assistenza finanziaria a beneficio dell’Italia”.
Il nostro ragionamento con Mogherini scivola su altri temi, e prima di arrivare a due capitoli importanti che riguardano l’attività europea di Lady Pesc, l’ex ministro degli Esteri italiano tocca il tema terrorismo e Stato islamico, e lo lega alle politiche sull’immigrazione, offrendo una chiave di lettura originale.
“Io sono d’accordo con chi dice che l’islam dovrebbe prendere da esempio l’atteggiamento che ha avuto per esempio il re di Giordania nel condannare il fondamentalismo ma più che andare a ragionare in modo manicheo sugli equilibri dell’islam, che è un capitolo che ci riguarda fino a un certo punto, io credo sia importante far passare un altro messaggio: le immagini di immigrati o rifugiati non accolti dall’Europa non sono neutre. Offrono l’immagine di un’Europa chiusa, che respinge quelle stesse persone che magari fuggono da quelle stesse organizzazioni terroristiche che vogliamo contrastare. Rischiamo di dare la nostra solidarietà alle vittime del terrorismo solo se si tengono ben lontane da noi. Non è il massimo della coerenza, e rischia di essere controproducente. Si parla spesso del rischio di infiltrazioni nel flusso dei migranti ma il vero punto a me sembra un altro e ci tengo a dirlo in modo chiaro: mettere in campo una politica di accoglienza seria ed efficace non è solo un modo per non chiudere gli occhi di fronte a quello che succede nei paesi a noi vicini ma è anche un modo concreto di combattere il terrorismo”.
[**Video_box_2**]Prima di arrivare al dossier delicato dei rapporti tra Russia, Nato e Europa, chiediamo a Mogherini qual è la posizione della Commissione europea, da lei rappresentata, rispetto ai rischi legati al deal traballante sul nucleare con l’Iran. Ricordiamo a Lady Pesc che ormai anche gli osservatori liberal iniziano ad avere dubbi sulla bontà dell’accordo, e lo stesso New York Times ha ospitato ieri la lettera di cinque ex consiglieri per l’Iran del presidente Barack Obama preoccupati che l’Amministrazione possa cedere a compromessi che renderebbero impossibile una accurata ispezione delle infrastrutture nucleari iraniane. “Ci sono molti elementi che riguardano la politica nazionale di diversi paesi nelle letture che si offrono dell’accordo che stiamo negoziando, e credo che continueremo a vedere molte interpretazioni, anche se spesso ci si dimentica di ricordare che l’accordo sul nucleare non è un accordo tra America e Iran ma è un accordo che riguarda tutta la comunità internazionale, sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il punto centrale è quello di tradurre in un accordo dettagliato l’intesa che abbiamo raggiunto in Svizzera ad aprile con l’Iran. Al momento resta la scadenza del trenta giugno, e una volta firmato l’accordo avremo gli strumenti giusti per scongiurare il rischio di una proliferazione nucleare”. Sui confini fragili dell’Europa, l’altro capitolo importante da affrontare, a parte la Grecia di cui Mogherini dice di non poter parlare essendo ancora tutte le trattative in corso, riguarda ovviamente l’Ucraina. Pochi giorni fa, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ash Carter, ha annunciato da Tallinn, in Estonia, l’arrivo di 250 carri armati e altri mezzi per garantire una forza di reazione rapida in caso di crisi sul confine con la Russia, e la domanda che rivolgiamo a Mogherini è semplice: l’approccio muscolare della Nato nei confronti di Putin non rischia di essere controproducente per l’Europa? Mogherini con diplomazia dribbla la domanda e la mette così: “Non posso commentare le iniziative della Nato posso però dire qual è la mia posizione sul tema dei rapporti con la Russia ed è una posizione che ho condiviso ieri con i ministri della Difesa proprio della Nato, incluso Carter: la linea che rivendico è quella dell’equilibrio. Dobbiamo essere inflessibili con la Russia sul capitolo delle sanzioni ma allo stesso tempo dobbiamo esercitare tutte le nostre capacità per tenere aperto un dialogo. Per quanto riguarda l’Ucraina, rispetto a prima dell’ultimo accordo di Minsk, è cambiato qualcosa, e ci sono stati dei limitati passi in avanti. La Russia però non è soltanto l’Ucraina e i nostri rapporti di collaborazione sono migliorati rispetto a qualche mese fa su altri terreni importanti che riguardano anche il medio oriente. Con il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ho avuto recentemente almeno quattro incontri bilaterali e lavoriamo insieme nel Quartetto per il medio oriente. Non è facile, ma il canale è aperto più che mai”. Prima di congedarci chiediamo a Mogherini se sogna di vedere riconosciuto sotto la sua reggenza uno stato palestinese e Lady Pesc risponde così: “Mi auguro che in questi anni avvengano due fenomeni paralleli. Mi auguro che uno stato, Israele, sia riconosciuto finalmente da tutti i suoi vicini e che possa vivere in sicurezza. E mi auguro che l’altro possa nascere e avere un pieno riconoscimento”.
I conservatori inglesi