Agenti di polizia circondano un uomo sospettato di aver partecipato all'attacco in Tunisia (foto LaPresse)

La nostra guerra contro gli islamisti

Un solo manuale jihadista per tre attacchi nel venerdì di Ramadan

Daniele Raineri
Una centrale del gas a Saint-Quentin-Fallavier, vicino a Lione, un morto. Una moschea sciita a Kuwait city, al culmine della preghiera del venerdì, venticinque morti. La spiaggia di un resort di lusso in Tunisia, almeno 37 morti - di Daniele Raineri

Roma. Una centrale del gas a Saint-Quentin-Fallavier, vicino a Lione, un morto. Una moschea sciita a Kuwait city, al culmine della preghiera del venerdì, venticinque morti. La spiaggia di un resort di lusso in Tunisia, almeno 37 morti. Venerdì pomeriggio il sito del New York Times ha scritto che l’intelligence americana sta lavorando a pieno ritmo per capire se c’è una connessione fra i tre attacchi terroristici in Francia, Kuwait e Tunisia. Per capire, cioè, se i tre attentati sono stati eseguiti da affiliati allo stesso gruppo e se c’è stato un ordine preciso arrivato da una centrale di comando unica – in modo che accadessero quasi in contemporanea e da massimizzare così l’effetto sui mass media. E davvero venerdì a seguire le notizie minuto per minuto si aveva l’impressione di un accavallamento inarrestabile, una sequenza da film catastrofico, da invasione aliena – quando invece, prese meglio le misure, appena ventiquattr’ore prima lo Stato islamico aveva compiuto un eccidio di oltre centocinquanta civili curdi a Kobane (e decine sono ancora ostaggi) che fa apparire i fatti di sangue arrivati dopo come episodi importanti ma minori.

 

E’ davvero presto per stabilire un legame reale fra le tre notizie da tre continenti, anche perché soltanto la strage in Kuwait è stata rivendicata dallo Stato islamico – anzi, dal gruppo che si fa chiamare “Regione di Nadj dello Stato islamico”, quindi quell’azione è partita dal centro dell’Arabia Saudita. Se si guarda alle tre operazioni dal punto di vista materiale, allora viene da pensare che no, non c’è stata coordinazione in anticipo: gli atti sono troppo diversi tra loro, una mente unica avrebbe imposto modalità identiche per fare sapere che c’è una regia precisa. E invece in Francia un dipendente e un complice hanno sfondato un cancello di una fabbrica e poi decapitato il datore di lavoro, in Kuwait un uomo si è infiltrato con una veste esplosiva tra gli sciiti al momento del sujud, che è la prosternazione collettiva davanti a Dio, in Tunisia uno studente incensurato in pantaloncini corti e fucile Kalashnikov, forse con un complice, è salito dalla spiaggia al lungomare e ha ucciso turisti stranieri e passanti in serie fino a quando non è stato fermato su un marciapiede da un proiettile alla testa.

 

Se un collegamento c’è, e ci deve pur essere, è un collegamento più generale, in senso lato: le tre operazioni obbediscono alla stessa strategia elaborata anni fa in un testo poco conosciuto in occidente ma considerato fondamentale nel mondo del jihad. E’ un libro che si intitola Idaraat al Tawahush, “La gestione delle barbarie” ed è stato scritto dieci anni fa da un autore egiziano di al Qaida che si fa chiamare Abu Bakr Naji e che ormai – forse – non può vedere gli effetti delle sue lezioni strategiche perché è stato ucciso da un drone in Pakistan nel 2008. Il libro suona attuale come se fosse di venerdì. Naji spiega che la Umma, la nazione dei musulmani, deve attraversare alcune fasi critiche per arrivare al traguardo che ambisce, ovvero al ritorno del Califfato. La prima di queste fasi è la gestione di una campagna di iper violenza mirata a destrutturare, con atti di ferocia impensabile, gli stati nazione come li conosciamo. “La gestione delle barbarie”, appunto. Dice il manuale che sono necessari attacchi multipli internazionali contro chi fa la guerra al jihad, per far pagare loro un prezzo, e anche attacchi contro i siti turistici, in modo che i governi debbano proteggerli e quindi sprecare forze preziose, aprendo dei vuoti nei loro apparati di sicurezza (questi sono passaggi citati venerdì da Will McCants, che è l’esperto americano che ha tradotto il libro dall’arabo all’inglese). Attacchi internazionali, attacchi contro i siti turistici, secondo un programma che come succede sempre con i gruppi del jihad è già esplicito e annunciato – basta prestare attenzione.

 

[**Video_box_2**]Soprattutto, seguendo il criterio della gestione delle barbarie, i tre attentati hanno in comune una caratteristica importante: dimostrano una capacità notevole di individuare e scegliere l’obiettivo più pagante – dal quale possono estrarre il massimo risultato, la barbarie maggiore. In Francia l’attacco ha colpito una centrale del gas della Air Products, che è una compagnia americana che ad aprile ha firmato un contratto gigantesco con l’Arabia Saudita per costruire l’impianto gasiero più grande del mondo. Francia, America e Arabia Saudita: tre obiettivi maggiori dello Stato islamico, citati in molti messaggi di minaccia del gruppo. In Kuwait è stata colpita una moschea sciita, e questo fa leva sulla tensione latente tra sunniti e sciiti nei paesi del Golfo. Questa tensione religiosa che nasce dalle interpretazioni più fanatiche dell’islam è incoraggiata dai regni sunniti perché fa gioco nella sfida con l’Iran sciita, al punto che quando lo Stato islamico ha compiuto un attentato uguale in Arabia Saudita, un mese fa, i media hanno raccolto interviste come questa: “Potrei donare il sangue per i feriti, se non fossero sciiti. E se il mio sangue va a finire a uno sciita? Non si meritano nemmeno il mio sputo”. Lo Stato islamico si sta inserendo in questo quadro con la stessa euforia maniacale di un piromane sulla porta di una santabarbara. La Tunisia si regge sul turismo straniero, che nel 2014 ha rappresentato il 14 per cento del prodotto interno lordo. Se si considera che secondo Geoff Porter, capo della North Africa Risk Consulting, la Tunisia ha sofferto già un crollo del 4 per cento per colpa dell’industria, il 2015 tunisino potrebbe segnare un meno 18 per cento. In un paese postrivoluzionario molto infragilito, che non sa quanto e come resistere alla tentazione dell’islamismo. Appunto, è l’idarat al tawahush, la gestione delle barbarie. Crea il caos efferato, ci sarà soltanto da guadagnare: anni dopo, potrai proporre con le armi la pax islamista.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)