Altro che "barbari". In Francia e in Tunisia colpisce un "musulmano modello"
“Unità di fronte ai barbari”, titola il quotidiano Le Monde. Sarebbe consolante, se non fosse che i terroristi che hanno colpito in Francia e in Tunisia non era affatto dei barbari. Erano dei musulmani modello.
Seifeddine Rezgui, il terrorista che ha ucciso a sangue freddo quaranta turisti stranieri in una spiaggia in Tunisia, era uno studente esemplare. Frequentava un master in ingegneria informatica. Aveva una fedina penale pulita e non aveva partecipato, stando alle informazioni finora disponibili, a campi di addestramento. Rezgui era il clone di Mohammed Emwazi, il boia dei giornalisti occidentali nel deserto siriano, il figlio della middle class islamica britannica laureato in informatica.
Era un musulmano nato e cresciuto in Francia Yassin Salhi che ha decapitato il suo datore di lavoro. Aveva una moglie e tre figli. “Un ragazzo tranquillo, era un piacere averlo nella moschea, è stato bello”, ha detto Nacer Benyahia, presidente della moschea di Pontarlier, frequentata dal terrorista che avrebbe inneggiato allo Stato Islamico.
In Somalia, colpita ieri dai terroristi islamici, la primula rossa del jihad è una convertita con cittadinanza inglese, Samantha Lethwait, che l’intelligence ritiene abbia sulla coscienza 400 morti. Ha un’istruzione universitaria, è figlia di un soldato di Sua Maestà, era iscritta ad Amnesty International ed era una madre. Come Fritz Gelowicz, che voleva fare una strage all’aeroporto di Francoforte, il padre faceva il venditore di pannelli solari, la madre era un medico stimato. Il terrorista che ha diviso studenti musulmani e cristiani a Garissa, in Kenya, era laureato e figlio di un ufficiale del suo paese.
Studenti con master, figli della fallita integrazione francese, convertiti… Il terrorismo islamico non arriva sui barconi, non è figlio dell’analfabetismo, della povertà, della disuguaglianza. Germina da dentro la democrazia occidentale o dall’alta borghesia del mondo arabo. Sono rivoluzionari che attingono a piene mani dal bagaglio di guerra e sottomissione che risuona, con vigore, dal loro grande libro sacro. La guerra che hanno dichiarato non è logica, ma teologica. Il New York Magazine, nella sua inchiesta sui foreign fighters inglesi, scrive: “Gran parte di loro vuole morire prima possibile e andare in Paradiso”. Si calcola che ogni mese mille combattenti stranieri si offrano volontari nel Califfato. E’ come la Guerra civile spagnola del 1936.
Il grecista americano Victor Davis Hanson una volta si è chiesto: “I terroristi sono impegnati in una guerra per distruggere la cultura occidentale oppure sono soltanto una banda di criminali a cui è andata bene l’11 settembre?”. La risposta la conosciamo.