Cosa sta succedendo dentro ai Fratelli musulmani in Egitto
Milano. Il procuratore generale egiziano Hisham Barakat è stato ucciso al Cairo in un’esplosione mentre si recava al lavoro in automobile, e con lui sono morte altre nove persone. Il procuratore Hisham Barakat è stato uno degli architetti della battaglia giudiziaria contro il movimento islamista egiziano negli ultimi due anni, a partire dalla deposizione dell’ex rais dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi. Non è il primo tentativo di assassinio mirato contro un funzionario governativo: a settembre 2013, l’allora ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim è sopravvissuto a un attacco identico. L’attentato fu rivendicato da un gruppo locale che ha giurato fedeltà allo Stato islamico, il Wilayat Sinai, che due giorni fa in un video ha chiamato i suoi seguaci alla violenza contro i magistrati. La strage arriva soltanto tre giorni dopo il terrore islamista in Tunisia e in Kuwait. Da mesi, crescono in Egitto gli incidenti violenti contro obiettivi governativi da parte di gruppuscoli della galassia islamista. La caduta nel 2013 del presidente Morsi aveva spinto alcuni analisti a ipotizzare una reazione di radicalizzazione tra le fila dell’islamismo locale. In Egitto, la vecchia guardia dei Fratelli musulmani cova il proprio risentimento nel buio delle carceri oppure tenta a fatica di ricostruire istituzioni smantellate e di proiettare l’immagine di una leadership in controllo, dalle capitali dell’esilio. Chi non è stato arrestato è fuggito a Doha o a Istanbul. Dal 2013, la Fratellanza è considerata dal governo organizzazione terroristica. In libertà è rimasta una giovane generazione irrequieta che ora, in una prima inedita per un movimento forte per decenni della sua compattezza interna, scuote i ranghi spingendo verso tattiche più conflittuali contro il governo del presidente Abdel Fattah al Sisi, respingendo la linea degli anziani della non violenza.
I Fratelli musulmani “sono nello scompiglio più grande, con la leadership in prigione o all’estero – spiega al Foglio Michael Hanna, ricercatore alla Century Foundation ed esperto di Egitto – C’è un decentramento dell’autorità e non hanno trovato un modo di comunicare internamente in maniera efficace: cercano di cambiare l’organizzazione, c’è molto spazio per la componente di base del movimento, per la diversità, e quindi esiste il timore all’interno della leadership di una radicalizzazione dei giovani e della strada”.
Dai giorni degli scontri brutali del 2013 tra sostenitori di Morsi e forze dell’ordine, in cui morirono oltre 2.500 persone, circa 16 mila attivisti sono stati incarcerati e l’ex presidente è stato condannato a morte. Come ha scritto Foreign Affairs, la giovane guardia della Fratellanza accusa la leadership di non aver saputo gestire il potere: “Rifiutano le chiamate dei vertici alla pazienza, alla lotta a lungo termine contro il governo appoggiato dai militari. Sostengono invece tattiche rivoluzionarie – e violente – per destabilizzare il sistema prima piuttosto che dopo”. Così, sono diversi gli analisti che hanno notato un progressivo irrobustimento dei toni sui social media legati a frange della Fratellanza, e lo stesso leader Amr Darrag, della vecchia guardia in esilio, ha ammesso, parlando con Foreign Affairs, che giovani legati al movimento si sono dati al sabotaggio: bloccano arterie stradali e mettono fuori uso piloni dell’elettricità. E’ la stessa generazione che ha vinto da poco elezioni interne. Ricorda Hanna che, per timore di perdere la propria base, “anche la leadership si avvicina all’uso di un linguaggio pericoloso” e ambiguo, senza prendere nettamente distanza dagli estremismi, come accaduto pochi mesi fa quando un sito legato alla Fratellanza, in arabo, ha “flirtato con l’idea del ritorno a un apparato segreto”, di tipo militare, come negli anni 50 e 60. Sul web, giovani vicini alla Fratellanza hanno creato nei mesi passati gruppi come il “Movimento molotov” con 70 mila follower su Facebook, ha raccontato The New Republic, il “Movimento Bat”, da Batman, che incitava alla violenza contro stazioni della polizia. Nancy Youssef, di McClatchy, ha parlato con tre giovani che si identificano come vicini al movimento islamista, dell’area di Sharqia, governatorato sulla via di quell’instabile Sinai dove i militari egiziani combattono Ansar Beit al Maqdis, gruppo che ha giurato fedeltà allo Stato islamico. Nel governatorato, otto poliziotti sono stati uccisi nel giro di tre settimane, da uomini armati in motocicletta. A McClatchy i tre giovani di Sharqia hanno rivelato d’aver dato fuoco al negozio di un ex generale sostenitore di al Sisi e alla casa di un poliziotto. “Cerchiamo di non uccidere – hanno spiegato – E’ come un pugno per spaventarli. E’ pacifico perché non uccidiamo”.
Anche Heba Saleh, sul Financial Times, ha raccontato la radicalizzazione di una gioventù che dice di seguire “un sentiero rivoluzionario”, non con gli spari, ma con azioni di sabotaggio, anche se il confine con la violenza è sottile. “Non accettiamo che la rivoluzione vada verso una lotta violenta o armata”, ha detto l’ex ministro Darrag al giornale britannico, mostrando la volontà di parte dei vertici più antichi della Fratellanza di mantenere il basso profilo per preservare quello che rimane di una struttura vecchia 90 anni. Per i Fratelli musulmani, ricorda Hanna, l’organizzazione ha priorità su tutto, perfino sulla vita attiva in politica.
Si apre così una nuova questione, che potrebbe trovare un precedente in quello che sta accadendo a Gaza. Israele ha risposto al lancio di razzi Kassam nelle settimane passate bombardando edifici vuoti. I missili sarebbero stati infatti lanciati non dal gruppo islamista palestinese che controlla la Striscia ma da movimenti ancor più radicali, con legami allo Stato islamico. Sui giornali egiziani sono emersi resoconti di cooperazione tra la leadership di Hamas, odiata dai militari del Cairo perché nata da una costola della Fratellanza musulmana, e i vertici dell’esercito per arginare l’azione degli estremisti nel Sinai. Hamas è stata anche eliminata dalla lista egiziana dei gruppi terroristici: meglio l’antico nemico più moderato, è la morale, rispetto al nuovo e sconosciuto corso più estremista. La radicalizzazione della gioventù dei Fratelli musulmani e il sorgere di gruppi estremisti paralleli con legami a Siria e Iraq potrebbe far rimpiangere a qualcuno al Cairo l’entente cordiale con i vecchi islamisti, capaci di controllare la violenza tra i propri ranghi ma anche la strada? “Nel governo egiziano – spiega Hanna - c’è chi pensa che un accordo alla fine sarà necessario, altri invece ritengono che i Fratelli musulmani vadano sradicati completamente e per sempre”.