Da oggi in Cina tutto è questione di sicurezza nazionale
Per la Cina la religione è una questione di sicurezza nazionale, e come tale va gestita. La cultura e i diritti umani sono questione di sicurezza nazionale, così come la finanza, la politica, la libertà d’espressione, la cybersicurezza, l’ideologia, l’esercito. Mercoledì il Congresso nazionale del popolo, l’organo legislativo del regime cinese, ha votato all’unanimità una nuova legge sulla sicurezza che alcuni esperti hanno definito “neo totalitaria”. E’ un progetto che esiste da anni, e di cui un mese fa sono state pubblicate bozze dove il concetto di sicurezza nazionale è così vago ed esteso da interessare praticamente tutti gli ambiti della vita dei cittadini cinesi.
Fin dal primo paragrafo la legge ha un’impostazione ideologica forte, e stabilisce che la sua missione è “salvaguardare la sicurezza nazionale, difendere la dittatura democratica del popolo e il sistema socialista con caratteristiche cinesi”. Tra gli obiettivi c’è anche il “ringiovanimento della nazione”, uno degli slogan del presidente Xi Jinping. All’interno, gli ambiti di competenza sono così estesi da riguardare, scrive il South China Morning Post, la gestione politica, la sovranità, l’unità nazionale, l’integrità territoriale, il benessere del popolo, uno “sviluppo sostenibile e sano” dell’economia e della società, e altri “grandi interessi nazionali” non meglio specificati. La legge parla delle minacce del terrorismo, dei culti religiosi e delle interferenze straniere alle questioni religiose, dando così ampio mandato al governo per gestire le questioni di fede come priorità che riguardano la sicurezza. Chiede di mettere in atto meccanismi per proteggere la Cina dai rischi della finanza internazionale, mettendo così anche i mercati sotto lo stesso ombrello.
Una parte della legge che ha creato molte controversie è quella legata alla cybersicurezza, in cui si legge che l’infrastruttura internet deve essere “sicura e controllabile”. Non si fa riferimento soltanto alla censura: l’invocazione del controllo ricorda da vicino un progetto di legge proposto qualche mese fa, e poi ritirato a causa delle proteste, in cui si chiedeva alle aziende straniere di operare con computer e strumenti ugualmente “sicuri e controllabili”, ergo accessibili alle autorità cinesi. Il progetto di qualche mese fa prevedeva per esempio che le banche che operano in Cina usassero server e computer a cui Pechino potesse avere libero accesso – con tutte le preoccupazioni di privacy, segretezza e difesa della proprietà intellettuale che ne derivano. La legge approvata mercoledì non arriva a tanto, ma mantiene una certa vaghezza sul tema.
La definizione di quale azione costituisca un danno per la sicurezza nazionale è così vaga che la nuova legge è un pericolo potenziale tanto per i dissidenti quanto per gli imprenditori stranieri. La ricercatrice di Human Rights Watch Maya Wang, sentita dal Guardian, ha detto che la nuova legge “Include elementi che definiscono la critica contro il governo come un atto di sovversione”, mentre l’Amministrazione americana di Barack Obama da tempo critica i vari tentativi di Pechino di estendere il suo controllo al business internazionale giustificandosi con la necessità di aumentare la sicurezza.
[**Video_box_2**]La nuova legge è stata approvata nello stesso giorno in cui Hong Kong ricorda il diciottesimo anniversario del suo ritorno sotto Pechino. Ci sono state proteste di piazza nell’ex colonia inglese, dove migliaia di persone hanno protestato contro i tentativi di aumentare l’influenza politica di Pechino sulla città. Le regole sulla sicurezza appena votate non saranno applicate, per ora, a Hong Kong.
Dalle piazze ai palazzi