Essere Angela Merkel
Secondo qualcuno, lo scenario di Elmau, dove si è tenuto l’ultimo G7, ricorda il paesaggio che circondava i castelli dello sfortunato re Ludwig di Baviera. Che paragone assurdo, rispondevano molti commentatori, Angela Merkel, la Kanzlerin, è tutto tranne che sfortunata. Poi ci si è messa di nuovo la Grecia a tormentare le coscienze dei tedeschi e degli europei tutti, e i disfattisti sono tornati popolari, non è che tra i verdi prati della Baviera si è consumato l’ultimo grande momento del regno Merkel? A insinuare il dubbio è anche uno scatto, tra le centinaia di foto fatte durante il G7: è quello in cui si vedono i sette capi di governo, più Donald Tusk e Jean-Claude Juncker, riuniti per una foto di gruppo. La Kanzlerin è al centro. Gli uomini levano il braccio per salutare, Merkel invece congiunge le mani nel suo tipico gesto. Perché Merkel non saluta?, ci si chiede. Perché è la padrona di casa? Perché non ha bisogno di salutare, lei è la leader posata che con un sorriso tutto ottiene? Perché nonostante i dieci anni alla guida della Germania non ha perso l’innata ritrosia a lasciarsi andare in pubblico? Chissà, valla a capire, la Merkel.
Non è un anno qualsiasi questo 2015. Qualche giorno fa il Partito cristiano-democratico ha festeggiato i settant’anni dalla fondazione. Sempre quest’anno Merkel celebra quindici anni alla guida della Cdu, e il 22 novembre saranno dieci anni che la Kanzlerin guida la Germania. “La regina silenziosa”, l’ha ribattezzata la Süddeutsche Zeitung. Il giorno del suo insediamento a capo del governo tedesco aveva giurato di “voler servire” il suo paese. E a ben vedere, per quel che riguarda la Germania ci è riuscita. Ha protetto dagli scossoni della crisi economica mondiale la ripresa e la crescita economica tedesca. Anche se eccellente mediatrice, come la definì George W. Bush quando era presidente, Merkel non ha mai dimenticato di portare avanti gli interessi del suo paese, anzi, forse proprio per questo, secondo molti, la solidarietà dell’Unione europea oggi ne soffre.
Se nella politica interna ha proceduto a piccoli passi, alla Cdu non ha risparmiato un corso, a volte anche accelerato, di recupero. Ha portato i cristiano-democratici a recidere il cordone ombelicale con il potente Helmut Kohl (allora non si usava ancora la parola rottamare), approfittando dello scandalo dei finanziamenti occulti al partito nel 2000. Poi ha dato il via all’opera di modernizzazione: ha fatto digerire l’abolizione della leva obbligatoria, il sostegno alle donne lavoratrici, ha decretato la fine degli impianti nucleari, ha imboccato una politica sociale ed economica più di sinistra che conservatrice (lei però si difende ricordando che la “soziale Marktwirtschaft”, l’economia di mercato sociale, porta la firma di Ludwig Erhard, un cristianodemocratico). Ha nominato per la prima volta una donna a capo del ministero della Difesa. Nel 2010, quando assunse la guida del partito, una giornalista le chiese se la Cdu passava ora dal patriarcato al matriarcato. Merkel le aveva risposto: “No, solo dal XX al XXI secolo”.
Quando nel 2000 gli uomini della Cdu le avevano ceduto il passo permettendole di essere eletta a capo del partito, la loro idea era quella di farle raccogliere i cocci lasciati da Kohl, per poi salire loro sul trono di nuovo lustro del partito. Come si sa, non è andata così.
Chiedersi come abbia fatto è ormai anacronistico. Più interessante è vedere come questi 15 anni a capo della Cdu e soprattutto i dieci alla guida del paese hanno cambiato Angela Merkel. Iniziamo dalle tracce visibili: il tabloid Bild si mostrava recentemente allarmato per le numerose rughe che segnano il viso della Kanzlerin. Lo scorso febbraio, quando la situazione in Ucraina aveva di nuovo subìto una escalation inquietante, Merkel in meno di una settimana aveva fatto tappa a Kiev, Mosca, Washington per poi partecipare all’annuale Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. In quei giorni la sua casa era diventata l’Airbus A340 Konrad Adenauer. Certo, un aereo dotato di ogni comfort, salotto, camera da letto, bagno, ufficio, ma sempre un aereo resta. E dormire tra le nuvole, piuttosto che nel letto di casa, fa la sua differenza. Merkel interrogata in proposito aveva però osservato serafica: “Grazie a Dio, ho la capacità di immagazzinare riposo, un po’ come il cammello fa con l’acqua. E così per un po’ mi bastano anche quattro ore di sonno per notte”. Eccola, la superwoman.
Se si confrontano il primo scatto, quello del 1990 dove la si vede nella baracca di pescatori dell’isola di Rügen (era la sua prima campagna elettorale) e l’ultimo, quello sul prato di Elmau, a colpire non è solo la trasformazione da politico in erba a protagonista della politica internazionale. C’è stata negli anni e soprattutto negli ultimi tempi anche una trasformazione nel suo porsi in pubblico. Più risoluta, ma anche più rilassata.
Merkel è diventata cancelliere a 51 anni. “Un’età in cui le donne normalmente si dedicano alla coltivazione delle rose. O cambiano ancora una volta marito – notava recentemente un commentatore politico – Lei invece diventava Kanzlerin e da lì a poco si trovava a fronteggiare la crisi economica mondiale, la crisi dell’euro e dell’Ue, rigurgiti nazisti, spionaggi in casa propria da parte degli americani, la guerra civile in Ucraina, le masse di profughi che cercano un nuovo futuro nel Vecchio continente”. Impacciata, non felice del clamore mediatico lo è stata per molto. E sicuramente per lungo tempo tra le sue aspirazioni e la realtà correva una certa insicurezza di cui era consapevole. C’è un aneddoto che risale al 1997, quando Merkel era ancora per tutti “Kohls Mädchen”. Si era appena concluso un vertice sull’ambiente e lei aveva avuto il primo duro impatto con l’uomo che un giorno avrebbe sfidato alla guida del paese. Gerhard Schröder, allora governatore della Bassa Sassonia, l’aveva messa bruscamente nell’angolo. Lei si era risentita e gli aveva giurato che un giorno si sarebbe vendicata: “Ho solo bisogno di tempo, ma quel giorno verrà. E sarà bellissimo”. Ci impiegò otto anni, ma alla fine ci riuscì: “Già ai tempi della scuola appartenevo a quel tipo di persona che se ne sta per tre quarti d’ora sulla pedana da tre metri prima di buttarsi in acqua”, raccontò una volta. Insomma un po’ pachidermica nelle reazioni. E pachidermica lo è stata anche nel gestire la crisi greca. Per tutelare gli interessi tedeschi, sicuramente, ma anche perché Merkel, prima di adottare una soluzione analizza i possibili effetti della stessa.
Ai tedeschi però continua a piacere la loro Kanzlerin. Alle ultime politiche del 2013 la Cdu, ma sarebbe meglio dire Merkel, ha ottenuto il 41,5 per cento dei voti. Non sufficiente a governare da sola, ma comunque un risultato strepitoso. In tempi così difficili, avere un politico che non si fa prendere da ansie catastrofiste o da deliri d’onnipotenza è per l’animo teutonico, ancora marchiato a fuoco dal fardello storico, una garanzia: “Niente esperimenti”, diceva Konrad Adenauer. Niente esperimenti dice anche Angela Merkel.
Meno soddisfatta di lei sembra invece una parte dei suoi compagni di partito, che l’accusano di aver snaturato la Cdu, estirpandone l’anima conservatrice. Motivo per cui, aggiungono, a destra della Cdu è nato un nuovo partito: l’Alternative für Deutschland, l’Afd. Anche Thomas Bosbach, uno dei capi della corrente conservatrice della Cdu, vede nella politica di Merkel il motivo dell’iniziale successo dell’Afd (nel frattempo già molto ridimensionato a causa di guerre intestine). Secondo lui però, Merkel non ha sbagliato nel modernizzare il partito né nella guida del paese. “La politica interna nel senso classico non esiste più”, spiegava tempo fa Bosbach in un’intervista al Foglio. “Siamo troppo avanti con il processo di integrazione dell’Ue. A dettare l’agenda politica di Merkel è sempre più la politica estera”. L’errore di Merkel sta, secondo Bosbach, nella strategia di salvataggio della Grecia.
Che la politica interna nel senso classico non esista più, lo deve pensare anche Merkel. Così per l’ordinaria amministrazione interna ha delegato molto. Alla difesa ha messo la risoluta e ambiziosa Ursula von der Leyen (data come una sua probabile erede al trono). Due ministeri di peso, quello dell’Economia e del Lavoro, li ha lasciati ai socialdemocratici: a Sigmar Gabriel, capo dell’Spd nonché vicecancelliere, e ad Andrea Nahles, che è riuscita a far approvare il salario minimo – per la Cdu un colpo duro, Merkel, invece, non ha fatto una piega. E’ toccato invece al socialdemocratico Heiko Maas, ministro della Giustizia, redigere il testo del disegno di legge, cui lui era inizialmente contrario, che permetterà di salvare – al fine di contrastare eventuali attività terroristiche – per 10 settimane i dati di cellulari e navigazione in rete.
Intanto lo sguardo di Merkel si proietta oltre i confini della Germania. Sul palcoscenico internazionale delega molto meno, è lei ad avere l’ultima parola e in alcuni momenti i ministri Wolfgang Schäuble, alle Finanze, e Frank-Walter Steinmeier, agli Esteri, diventano poco più che degli sherpa. Così è stato sin dall’inizio. Quando, nel novembre del 2005, c’era da licenziare il bilancio dell’Ue 2007-2013, Merkel diede subito una prova di pragmatismo. Risolse l’impasse in cui ci si trovava in quel momento mettendo più soldi tedeschi a sostegno degli agricoltori polacchi. Allora l’Ue al di là delle solite scaramucce interne, viaggiava ancora felice e unita verso il futuro. Aveva davanti agli occhi la meta, una graduale sempre più stretta integrazione degli stati dell’Ue. Oggi questo obiettivo è nascosto dal muro contro muro tra Ue e Grecia. Ma anche tra i singoli paesi se si distoglie lo sguardo un attimo dall’Acropoli e lo si sposta verso le coste europee del Mediterraneo, dove continuano a sbarcare i profughi. Mentre i paesi dell’Eurozona sfiancati da Alexis Tsipras e dal suo ministro Yanis Varoufakis si mostrano fermi nei confronti di Atene, per quel che riguarda i profughi ognuno guarda al giardino di casa propria e di solidarietà collettiva nemmeno più l’ombra.
[**Video_box_2**]Merkel negli ultimi tempi aveva mostrato un interessante cambiamento: al suo proverbiale pragmatismo aveva affiancato anche una nuova attitudine, quella dell’elasticità. Lo scorso 18 giugno, prima di volare a Bruxelles per l’ennesimo vertice sulla Grecia, la Kanzlerin davanti al Bundestag non aveva più usato la parola “alternativlos”, senza alternativa, o l’espressione “se fallisce l’euro, fallisce l’Europa”. Ai diktat aveva preferito una frase di apertura: “Lì dove c’è volontà, c’è anche una strada”. Proprio i greci avrebbero allora insegnato a Merkel a essere più mediterranea? Proprio loro che sono inaffidabili, con capi di governo capaci solo di rigirare le parole in bocca? Refrattari a rispettare una qualsiasi regola, nonostante abbiano ottenuto un prestito di 240 miliardi di euro? Tutto vero, ma è anche vero che a Merkel Alexis Tsipras è (o forse oggi sarebbe meglio dire era) simpatico. Anche qui, a testimoniarlo ci sono delle foto. Il 9 maggio Merkel, un giorno dopo la data ufficiale, si era recata a Mosca per celebrare i 70 anni dalla liberazione nazifascista. Uno slittamento temporale con il quale la Kanzlerin aveva voluto rimarcare i rapporti tutt’altro che rilassati con il Cremlino. Le foto di quell’incontro (come altre del passato che la vedono con Vladimir Putin) mostrano Merkel corrucciata e severa. Di tutt’altro umore appare invece nelle foto del 23 marzo, quando incontrava per la prima volta Tisipras in veste di neoeletto capo di governo. E sì che durante la campagna elettorale, Tsipras non l’aveva certo risparmiata. Per questo Merkel l’aveva tenuto un po’ distante, gli aveva fatto fare il tour delle capitali europee, prima di riceverlo a Berlino. Poi però l’aveva accolto con grandi sorrisi.
Quello che a Merkel sembra(va) piacere di questo giovane capo di governo è l’irruenza che spesso sfocia anche in spregiudicatezza. Merkel sembra preferire la sfacciataggine manifesta all’accondiscendenza pelosa. “Dio non ci vuole marionette” è una delle sue massime. La libertà di opinione, di azione costituiscono i valori più alti nel suo universo. Ma a tutto c’è un limite. E quel limite Tsipras sabato l’ha oltrepassato. Perché Merkel, prima di cedere il passo a questa nuova generazione, avrebbe ancora un obiettivo da raggiungere. La Kanzlerin sa bene che i grandi cancellieri hanno legato il loro nome a un progetto politico di vasta portata. Konrad Adenauer si era battuto per il ritorno della Germania nel consesso occidentale; Willy Brandt per la Ostpolitik; Helmut Kohl per la riunificazione. Anche Merkel avrebbe una chance di entrare in questo consesso. Così almeno dice Norbert Blüm, uno dei grandi vecchi del partito, in un’intervista: “E sarà la sorte dell’Europa a decidere se avrà un posto nei libri di storia. Fino a oggi Merkel è stata garanzia di affidabilità. Ora deva fare il grande salto. Dipende principalmente da lei se l’Ue farà finalmente un decisivo passo in avanti o resterà semplicemente un consesso tariffario di 28 paesi”.
Per il momento Tsipras e il suo sodale Varoufakis le hanno impedito di fare il grande salto. Non solo loro però. Anche Merkel si è messa i bastoni tra le ruote. Così scriveva ieri la Süddeutsche Zeitung: “Non è che Merkel non abbia capito la specificità dell’animo e del modo di vivere greco. Sa bene che la Grecia non è paragonabile alla Spagna per esempio. Perché è un paese che ha vissuto a lungo fondandosi sul clientelismo. Solo che pur avendo il quadro esatto davanti agli occhi, non è mai riuscita a cambiare approccio. Non ha mai avuto il coraggio di dire ai tedeschi che i greci funzionano diversamente e nemmeno ha avuto il coraggio di indire un grande vertice che affrontasse, senza pregiudizi, senza le varie eccezioni nazionaliste, il problema del debito greco e di ristrutturazione dello stato greco. Così sotto di lei l’Europa si è vieppiù trasformata di nuovo in un’Europa degli stati anziché in una più stretta Unione europea”.
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