Chi è il portavoce del Partito islamico tunisino Ennahda che parla italiano
Milano. Rached Ghannouchi, il leader storico del partito islamico tunisino Ennahda, due giorni fa faceva gli inchini all’Europa con una condanna del terrorismo. Sul Corrierone plaudiva la scelta del governo di chiudere le moschee radicali dopo la strage di Sousse, ma pochi sanno che il portavoce del suo partito, legato ai Fratelli Musulmani, è cresciuto e si è formato in Italia. In moschee che nessuno ha avuto il coraggio di chiudere, sebbene siano abusive e non rappresentino un esempio edificante di integrazione. Osama al-Saghir è cresciuto a Roma, dove si è laureato all’università La Sapienza, alla facoltà di Scienze politiche. Nel 2006 è stato eletto presidente del Gmi, l’associazione dei Giovani musulmani d’Italia, da sempre in bilico fra prese di posizioni pubbliche di carattere (quasi) ecumenico e quelle interne, ultraconservatrici – ma mai contigue ai jihadisti. Al Foglio ce lo ricordiamo, Osama, quando nel 2009 (allora uno studente di 25 anni in attesa della cittadinanza italiana) dichiarò al nostro giornale, con un tono di severo ammonimento: “La maggior parte dei giovani musulmani sono cresciuti in Italia, ma pochissimi hanno ottenuto la cittadinanza italiana e per questo motivo hanno una percezione distorta della democrazia. Io temo i rischi di una sera deriva identitaria fra i giovani musulmani perché se non si appartiene a una nazione, allora si appartiene alla comunità religiosa, dove è più facile dare retta a un matto che parli degli italiani come infedeli o a gruppi politici che rinnegano la democrazia”. Eppure lui, ottenuta la cittadinanza italiana nel 2011, si è candidato all’assemblea costituente tunisina in Italia. Dove ha fatto campagna elettorale per entrare in Parlamento, dopo la rivoluzione dei gelsomini.
Osama è figlio di un dirigente di Ennahada, che è stato fra i fondatori della moschea romana Al Huda di Centocelle, una sorta di sede distaccata del partito islamico tunisino. Non proprio un esempio di moschea moderata. Sorta dentro uno scantinato-garage, in passato è stata più volte monitorata dagli investigatori dell’antiterrorismo. Secondo le indiscrezioni raccolte, la candidatura di Osama al-Saghir al parlamento tunisino fu accolta con perplessità nella comunità tunisina. Considerata come una forzatura da parte della dirigenza di Ennahada perché voluta, oltre che dal padre, probabilmente anche dall’ex imam tunisino della moschea di Centocelle, poi emigrato a Londra: Samir Khaldi. Una volta eletto all’assemblea costituente, dopo diciotto anni di vita in Italia, Osama è tornato a Tunisi. E a un giornale studentesco dell’università di Padova che lo ha intervistato nel febbraio del 2013, alla domanda “Siete musulmani moderati?”, ha replicato: “Non mi piace l’uso che si fa di questo termine in Italia: sembra che per essere considerati democratici ci si debba allontanare dalla propria fede. La forza del nostro movimento invece è questa: non esiste contraddizione fra islam e libertà”. Mentre sulla primavera araba, ha affermato: “Nonostante le colpe dei governi occidentali, la rivoluzione araba non sta creando alcuna ostilità verso l’occidente”. E nonostante la regressione fondamentalista esplosa dopo le primavere arabe, in questi mesi Osama ha continuato a celebrare la gloria della rivoluzione dei gelsomini. Durante la campagna elettorale in Italia, la sua candidatura creò dissidi perché, secondo alcune fonti, c’era un candidato più preparato di lui, e che aveva alle spalle molti anni di esilio e di attività politica contro il regime di Ben Ali.
Anche durante il suo mandato come presidente dei Giovani musulmani d’Italia, la guida di Osama al-Saghir fu controversa. Per molti giovani che a quei tempi, a metà degli anni 2000, chiedevano alla comunità dei giovani musulmani politiche di maggiore integrazione nei confronti della società in cui vivevano, lui era considerato l’emblema di un islam ancorato a posizioni conservatrici. E non appoggiò mai quei pochi ribelli che chiesero un rinnovamento, un’interpretazione contestualizzata, un’esegesi “riformista” degli insegnamenti di Maometto. Quando alcuni giovani rivendicavano autonomia rispetto ai “padri” che dirigevano la maggior parte delle moschee italiane, Osama prese sempre posizioni ultraconservatrici. Oggi che è portavoce di Ennahada, nessuno si ricorda del suo tour italiano per diventare deputato nel Partito islamico tunisino. Pochi sanno che suo padre fu fra i fondatori della moschea romana di Centocelle. Così come pochi sanno che da studente fece una visita ad Auschwitz, ma non ne accennò mai ai suoi giovani fratelli musulmani. Documentarista di al Jazeera, lui, come altri tunisini cresciuti in Italia, era considerato l’emblema della seconda generazione di immigrati, che avrebbero dovuto costruire un ponte per formare l’identità di giovani musulmani contemporanei, laureati, integrati. E invece Osama al-Saghir – che nel 2009 al Foglio giurava di cantare ogni volta che era in trasferta all’estero l’inno di Mameli – stava preparando invece un trampolino per diventare membro dell’èlite islamica in Tunisia. E oggi di italiano conserva solo un hashtag della campagna elettorale #amarlatunisia. Aveva ragione lui, forse, quando ammetteva di appartenere innanzitutto a una comunità religiosa. Infatti sulla pagina italiana di Ennahada, dove il 20 novembre del 2014, è stato postato il momento solenne in cui i neodeputati di Ennahada hanno firmato la nuova Costituzione tunisina, una sorella li ha rimproverati: “Se amate davvero la Tunisia non dovevate scappare e invece dovevate restare durante il governo di Ben Ali. Come fanno gli uomini veri”. E, sottinteso, come i bravi Fratelli musulmani.
E così, mentre un suo coetaneo di origine marocchina, Khalid Chaouki, nel 2011 veniva cacciato all’unanimità dall’associazione dei giovani musulmani d’Italia per i suoi vani tentativi di rinnovamento, e oggi siede sugli scranni del Pd a Montecitorio, Osama al-Saghir è tornato a casa. A fare il portavoce di Ennahada.
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