All'ombra del deal iraniano
Che cosa ci fanno i sauditi e i russi a braccetto con un tesoro da 10 mld di dollari
Milano. Apparentemente non hanno nulla in comune. Sono i due maggiori produttori e concorrenti nel mercato del petrolio. Hanno amici ai lati opposti delle barricate. Si sono fatti dispetti non irrilevanti. Eppure ora cercano un’alleanza inedita, che si è palesata a sorpresa nei sorrisi tra il presidente russo Vladimir Putin e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che si sono intrattenuti a lungo ai margini del Forum economico di San Pietroburgo, e si è concretizzata un paio di settimane dopo nel più grosso investimento di un fondo sovrano in Russia: 10 miliardi di petrodollari sauditi, un record che fa esultare Mosca. Lo stanziamento del Public Investment Fund (Pif) sarà distribuito in una decina di progetti da concludere entro fine anno, che secondo il capo del Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif) Kirill Dmitriev riguarderà settori lontani dal petrolio: agricoltura, logistica, medicina, immobiliare e commercio al dettaglio.
Soltanto tre anni fa il regno saudita aveva cancellato la settimana del business russo, rispedendo a casa una delegazione di imprenditori arrivati da Mosca, per protesta contro il sostegno del Cremlino al rais siriano Bashar el Assad. I russi pure avrebbero nei confronti di Riad una serie di lamentele, dall’appoggio alla guerriglia cecena (che i finanziamenti sauditi hanno contribuito a indottrinare nella svolta dal nazionalismo all’islamismo) ai recenti sospetti che la monarchia petrolifera avesse fatto crollare il prezzo del barile su richiesta degli Stati Uniti, per mettere in ginocchio Putin. La Russia non ha mostrato entusiasmo nemmeno per l’intervento saudita in Yemen, è tra gli sponsor principali del deal con l’Iran, incubo di Riad, e ha pestato i piedi ai sauditi sottraendo, grazie ai megacontratti con Pechino, parte del mercato asiatico. Ma l’accordo sul nucleare di Teheran, in cottura a Vienna almeno fino a venerdì, lancia un valzer delle alleanze asimmetriche che va a scompaginare la regola della Guerra fredda sugli amici degli amici, e gli amici dei nemici diventano partner commerciali, se non alleati. Anche se il direttore dell’Istituto di studi mediorientali di Mosca Evgheny Satanovsky sospetta che quello dei sauditi sia “solo teatro, lo fanno periodicamente pensando di ingelosire gli Stati Uniti”, pare che gli alleati di Washington abbiano intenzioni serie con Putin. Il principe Saud bin Khalid al Feisal, direttore dell’altro fondo saudita Sagia, specializzato nell’attirare investimenti a Riad – ha appena firmato un altro accordo con i russi –, la butta sull’economia: il regno ha una crescita demografica che richiede prodotti, servizi e tecnologie, che potrebbe comprare nella Russia messa in difficoltà dalle sanzioni occidentali. Siccome, ricorda il senatore russo Andrey Klimov, “con i sauditi abbiamo due cose in comune: non condividiamo i valori occidentali e non amiamo sentire le critiche americane”, ecco che da appena un miliardo di interscambio annuale si passa a progetti ambiziosi.
[**Video_box_2**]Merito diplomatico personale di Putin, che forse si è trovato più a suo agio con i principi che con i governi occidentali: dopo la chiacchierata di San Pietroburgo sono saltati fuori sei accordi tra cui quello su 16 centrali nucleari che i russi potrebbero fornire a Riad (a Teheran ne vogliono contemporaneamente vendere otto). Si parla anche di forniture di armi: Mosca potrebbe vendere ai sauditi i missili Iskander (in precedenza non destinati all’esportazione), e ha organizzato per il principe una presentazione di navi di pattuglia e guardia costiera a San Pietroburgo. Che servirebbero a contenere l’Iran, al quale i russi vogliono spedire il sistema antiaereo S-300. Quando non si tratta dell’occidente, i russi abbandonano l’ideologia per il pragmatismo. Mosca promuove il deal iraniano, ma teme che il ritorno di Teheran sul mercato petrolifero faccia crollare il prezzo del greggio, e così cerca fonti di guadagno alternative.