Atene appesa al teorema di Euclid

Luciano Capone
Schäuble irride Obama, Tsakalotos è ossessionato dal “neoliberismo”

    Milano. Sono le ore decisive per la Grecia. Nei prossimi due giorni si deciderà la sua permanenza nell’euro: domani l’Eurogruppo discuterà le nuove proposte del governo greco e domenica si riunirà il Consiglio europeo, da cui si uscirà con un accordo o una Grexit (l’offerta del ministro delle Finanze tedesco Schäuble agli Stati Uniti di uno scambio tra paesi in default, la Grecia per Porto Rico, è la boutade dell’ultim’ora). Il destino di Atene sarà in gran parte nella mani di Alexis Tsipras e del nuovo ministro delle Finanze, Euclid Tsakalotos, succeduto al dimissionario Yanis Varoufakis. Tsakalotos era il capo delegazione nei negoziati con la Troika e per i suoi modi diplomatici è considerato, rispetto al duro Varoufakis, un interlocutore più adatto per raggiungere un’intesa, tanto da aver ricevuto l’aiuto dei tecnici del governo francese nell’elaborazione delle nuove proposte. Ma se si guarda alle idee, non sono meno radicali di quelle del suo predecessore. Il teorema di Euclid Tsakalotos sulla crisi greca è che è tutta colpa del neoliberismo. E fin qui niente di nuovo, sembrerebbe. Ma mentre Varoufakis nel suo libro se la prendeva con il liberismo statunitense, descritto come un “Minotauro globale” residente a Wall Street che, come nel mito, divora alcuni paesi innocenti offerti in sacrificio, Tsakalotos sostiene che la causa dei mali greci sia invece l’eccesso di liberismo in Grecia.

     

    L’economista di Syriza ha esposto la sua analisi in un libro di un paio di anni fa, “Il Crogiuolo della Resistenza: Grecia, Eurozona e la crisi economica globale”, in cui sostiene che la crisi greca non derivi dall’arretratezza, dall’insostenibilità della spesa pubblica o dalla mancanza di riforme, ma da anni liberismo sfrenato: “La gravità della crisi greca non è, come spesso si dice, il risultato del sottosviluppo o dell’incapacità di promuovere riforme strutturali neoliberiste. Al contrario, è la crisi di un particolare assetto politico neoliberista”. Che la radice di tutti i mali dell’economia greca sia il libero mercato lo si intuisce dalla prima pagina, dove l’aggettivo “neoliberista” compare sei volte (poi l’intensità scende e alla fine ricorre appena 177 volte in 181 pagine). Il neoministro bacchetta perfino duri critici dell’austerity come Paul Krugman e Martin Wolf, anche loro caduti nel tranello “neoliberista” di credere che la crisi greca sia dovuta a irresponsabilità fiscale, eccesso di deficit, partitocrazia, burocrazia, corruzione, scarsa produttività e mancanza di concorrenza. Non che tutti questi problemi non ci siano, è sono frutto del neoliberismo. Il clientelismo ad esempio, quella cosa che ha portato negli anni ’80 il 90 per cento degli iscritti al Pasok (il partito socialista) a lavorare per lo stato, uno pensa che sia una manifestazione dello statalismo. E invece no, è l’altra faccia del liberismo: “Sia il clientelismo che la modernizzazione neoliberista promuovono l’individualismo e indeboliscono la cooperazione e la solidarietà”.

     

    Naturalmente la svolta neoliberista greca sarebbe in gran parte opera dei socialisti, al governo per 25 degli ultimi 35 anni, che facevano cose ultraliberiste come “insostenibili promesse pre-elettorali a tutti indistintamente, accordi statali con selezionate imprese private, agevolazioni fiscali per alcuni gruppi sociali”. Ciò sembrerebbe leggermente in contrasto con le idee di Adam Smith, ma secondo Tsakalotos l’élite si è servita dello stato per fare politiche protezioniste e assistenzialiste allo scopo di far “riconciliare il capitalismo con la democrazia”: “Per questa riconciliazione (neoliberista, ndr) la Grecia ha contato sulle pratiche clientelari: impieghi pubblici, privilegi per alcuni gruppi sociali e tolleranza dell’evasione fiscale”. Se si cercano nel libro indizi su cosa il ministro delle Finanze greco proporrà all’Eurogruppo, non c’è traccia di riforme strutturali, tranne una: “La trasformazione dell’economia e dello stato che comporterebbe non solo la fine del neoliberismo, ma un diverso tipo di economia e politica”. Vaste programme.

    • Luciano Capone
    • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali