La caotica modernizzazione di Pechino messa in prosa da Xiaolu Guo
“Questo è ciò che accade quando contadini analfabeti o appena alfabetizzati giocano in borsa al rialzo. I cinesi hanno una propensione naturale al gioco d’azzardo, per cui hanno l’istinto per giocare con il mercato azionario”. I commenti agli articoli sulle ultime notizie dalle Borse asiatiche – specie quelli su testate nipponiche – non sono molto simpatetici con i cinesi. Ma non è solo una questione di azioni, grafici e freddi calcoli matematici. Il fatto è che tra il panico dei mercati e i provvedimenti decisi nelle stanze dei bottoni di Pechino ci sono quasi 1,4 miliardi di persone, metà dei quali nati dopo il 1980. E gli anni tra gli Ottanta e i Novanta sono un periodo chiave per capire l’evoluzione culturale cinese. “In Cina si fa così. Se conosciamo l’età dell’altro, possiamo capirne il passato. Noi cinesi siamo stati collettivi per tantissimo tempo, le storie personali sono irrilevanti. Non appena io e Xiaolin abbiamo saputo quanti anni avevamo, abbiamo anche saputo esattamente quanto schifo c’era nelle nostre vite. L’introduzione della politica del Figlio unico poco prima che nascessimo, per esempio, e il fatto che nel 1985 erano stati mandati negli Usa due panda come regalo nazionale, e che quindi a scuola avevamo entrambi dovuto cantare una lagnosa canzone sui panda. Nel 1989 c’era stata la manifestazione studentesca di Piazza Tienanmen. Xiaolin aveva un anno meno di me, perciò ritenevo che fossimo della stessa generazione. Quando però mi ha detto di non aver mai lasciato Pechino, ho cambiato idea. Era evidente che non avrebbe capito perché me n’ero andata di casa. Forse, dopo tutto, appartenevamo a due generazioni diverse”. Quello che racconta la scrittrice cinese Xiaolu Guo nel suo primo libro “20 Frammenti di Gioventù Vorace”, da poco tradotto in italiano (Metropoli D'Asia editrice), è il profilo del millennial cinese, diviso irrimediabilmente tra il desiderio di modernità e la complessità della Cina contemporanea. Parte di quei giovani sono quelli che hanno sostenuto il governo di Pechino nei suoi sforzi per far crescere il mercato azionario e aumentare spesa e ricchezza. Venerdì scorso, sulla Nikkei Asian Review, Oki Nagai scriveva che “con i prezzi degli immobili in fase di correzione, il mercato azionario è stato uno dei pochi modi di accumulare beni per i giovani, lasciati fuori dalle opportunità di investimento precedenti”.
In questo contesto, è interessante capire come i giovani cinesi si vedono da fuori. La protagonista del romanzo di Xiaolu Guo si chiama Fenfang Wang, e viene da un paesino nella provincia dello Zhejiang. A ventun anni decide di lasciare la vita del paese che gira tutta intorno alla produzione di patate dolci (“la routine di un paese piccolo e desolato può governare le vite degli abitanti in modo più efficace di una dinastia imperiale. Per migliaia di anni le persone hanno fatto le stesse identiche cose”). Si trasferisce a Pechino, che è il simbolo delle opportunità, l’ombra del sogno americano. E non a caso, tra gli studenti, l’eroe nazionale è il ragazzo che imparò a memoria il dizionario d’inglese e riuscì a farsi ammettere ad Harvard. Ma – spiega Fenfang – un diploma di Harvard volendo puoi pure comprarlo, a Pechino. L’ossessione per l’educazione è un retaggio antico: “Il presidente Mao ha detto: ‘Per adeguare il pensiero alle nuove condizioni dobbiamo studiare’. Non sbagliava mai. Così, appena ho iniziato a guadagnare una paga decente come comparsa, ho deciso di farmi un’istruzione”. Perché Fenfang, a Pechino, finisce a lavorare come comparsa nelle grandi produzioni di serie tv. Che non è Hollywood, ma è un sogno. “La vita è come quelle zampe di maiale in umido. Certe volte ti tocca mangiare solo quello che ti danno”, si ripete Fenfang, citando un ex bracciante diventato ricco produttore cinematografico. E non ha torto.