Dal pol. corr. al grottesco

Show di razza

Gli "White People" si autoflagellano su MTV per espiare il senso di colpa. Quando uno si convince che anche il politicamente corretto abbia un limite è allora che la rete televisiva butta fuori un nuovo show che smentisce qualunque convinzione.

New York. Quando uno si convince che anche il politicamente corretto abbia un limite, che pure i suoi più fedeli propalatori in qualche modo temano di finire inghiottiti nel mare infido del grottesco, è allora che MTV butta fuori un nuovo show che smentisce qualunque convinzione. Prima era il reality a sfondo sociale per insegnare alle teenager come evitare le gravidanze indesiderate,  ora è il turno di “White People”, e non ci potrebbe essere titolo più apporpriato per un reality in cui giovani bianchi recitano magistralmente la parte che la società chiede loro di recitare, quella dei colpevoli.

 

E’ una carrellata di lacrime per i privilegi ereditati senza alcun merito, uno stillicidio di risate imbarazzate e “non vorrei offendere nessuno”, un trionfo schiacciante del senso di colpa dell’uomo bianco che deve cesellare le parole e i comportamenti per non apparire razzista. E’ l’epoca del “you do you”, ognuno fa quello che la sua natura lo vncola a fare, l’uomo bianco opprime, schiaccia, sfrutta, odia e se ne duole profondamente in favore di telecamera.  Il mattatore della commedia agrodolce e lacrimevole, creata con l’intento di far riflettere ed esorcizzare più che di intrattenere – da tempo MTV si occupa di educazione civica – è Jose Antonio Vargas. E, anche qui, è difficile immaginare un anchormna più adatto di un vincitore del premio Pulitzer che dopo deceni di attività in America si è scoperto che era un immigrato clandestino. Vargas è stato giocoforza cacciato dal suo posto di lavoro, ma non ha avuto problemi a riciclarsi nell’ambito dell’attivismo sull’immigrazione e sulle questioni razziali. MTV gli ha chiesto di prendere un gruppo di ragazzi bianchi americani perfettamente stereotipati e di fare loro una psicanalisi da bordo piscina per far emeregere il senso di colpa latente. I bianchi hanno interirizzato la loro condizione di superiorità, ora va pubblicamente rigettata, espulsa come un corpo estraneo.

 

Lo show è costruito per portare i ragazzi a chiedere scusa. Scusa ai neri per la schiavitù, la segregazione, le violenze, ma anche per gli sguardi diffidenti sull’autobus, per tutte le notti in cui sono passati dall’altra parte della strada per evitare un incontro indesiderato, per aver messo la mano sulla tasca che contiene il portafogli in autobus. Scusa anche ai nativi americani per lo sterminio e poi la corruzione con il whisky e altri orrori occidentali, infine le riserve e i casinò in mezzo al deserto. Scusa a tutti queli che non sono parte del club della superiorità antropologica, agli umiliati e offesi del mondo: per mostrare vera empatia l’unico modo, almeno così pare, è mostrarsi ancora più umiliati e offesi, tentare un improbabile scambio di posto, produrre lacrime di vergogna per bilanciare le lacrime di dolore che generazioni di white people hanno inflitto al diverso. Un plot perfetto per l’America di Ferguson, Baltimore, Charleston, l’America di Black Lives Matter che chiede un solenne atto di contrizione a se stessa, un superamento dello schema del politicamente corretto per arrivare all’autoflagellazione nella piazza del reality show.

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