Il diavolo e i dettagli
Milano. Il concetto fondamentale che ha guidato il negoziato delle potenze internazionali con l’Iran si chiama “breakout time”: il tempo necessario all’Iran per uscire dai termini di un accordo e produrre un ordigno atomico. Se secondo gli analisti oggi il paese sarebbe in grado di arrivare alla fabbricazione di una Bomba in due mesi, l’intesa raggiunta ieri a Vienna dovrebbe estendere questo periodo a un anno. Si tratta comunque di un lasso di tempo che, per i detrattori del deal come Israele e paesi del Golfo, resta pericolosamente troppo corto. L’obiettivo del 5+1 – i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania – è quello di non permettere a Teheran di produrre materiale nucleare per la fabbricazione di ordigni atomici per i prossimi dieci anni e di favorire per almeno 25 anni ispezioni internazionali nei siti, nelle centrali e nelle installazioni del paese. E’ in questa direzione che vanno i dettagli dell’intesa raggiunta. Le condizioni accettate dall’Iran comprendono la riduzione di due terzi delle 19 mila centrifughe per arricchire uranio, che scenderanno a circa seimila (la maggior parte dei macchinari si trova nelle centrale di Natanz). Inoltre l’installazione sotterranea di Fordow, che secondo gli analisti militari occidentali sarebbe impossibile da attaccare militarmente, sarà convertita in un centro di ricerca e resterà sul posto soltanto la metà delle 2.088 centrifughe presenti. Per 15 anni non sarà possibile farvi entrare materiale fissile. Il reattore nucleare di Arak sarà riconvertito e modificato in modo che non possa produrre più di un chilogrammo di plutonio all’anno: la quantità è poco significativa. Le scorte presenti saranno spedite all’estero e l’Iran si impegna a non costruire un’installazione simile per i prossimi quindici anni. Teheran infine si impegna a ridurre la sua scorta di uranio arricchito da 12.000 a 300 chilogrammi complessivamente.
In risposta l’occidente cancellerà le sanzioni internazionali e rimuoverà tra cinque anni l’embargo sulla vendita di armi convenzionali tra cinque anni, e tra otto quello sulla vendita di missili. Restano comunque in Iran circa 6.000 centrifughe e lo stesso governo iraniano ha fatto sapere all’agenzia di stampa Irna che tutte le installazioni nucleari del paese resteranno operative e continueranno ad arricchire uranio, anche se a livelli più bassi di quelli necessari per obiettivi militari.
Le altre parole chiave di questa intesa sono “controllo” e “sanzioni”. “L’accordo è basato sulle verifiche, non sulla fiducia”, ha detto ieri il presidente Barack Obama. Ma la questione è controversa. Con la firma di un protocollo addizionale del trattato di non Proliferazione, il governo di Teheran si impegna a garantire l’accesso degli ispettori internazionali a qualsiasi installazione considerata sospetta “entro 24 giorni” dalla richiesta di ispezioni – che è un tempo lungo, le ispezioni funzionano se sono inaspettate. L’Iran può sollevare riserve alle ispezioni e sottoporle a una specie di corte di arbitrato – formata dall’Ue, dal 5 +1 e dall’Iran – che si riunirà per studiare la questione due settimane dopo la richiesta e deciderà in sette giorni. Soltanto dopo questa lunga procedura Teheran dovrà garantire accesso agli osservatori entro tre giorni.
[**Video_box_2**]Se Teheran dovesse violare gli accordi, è previsto un meccanismo di “snapback” per reimporre le sanzioni che da anni gravano sull’economia iraniana (destinata a crescere del 7-8 per cento nelle nuove condizioni). Serviranno 65 giorni per farle scattare nuovamente, previa autorizzazione delle Nazioni Unite. Gli esperti fanno però notare come ci vogliano in realtà anni affinché le sanzioni abbiano un reale effetto sull’economia di un paese. Nei prossimi dieci giorni, il deal sarà sottoposto all’approvazione dell’Onu. Sarà operativo 90 giorni dopo, per dieci anni, a meno che non siano imposte nuove sanzioni in corso d’opera.